domenica 31 ottobre 2010

Sento la mia vita come un caffè stantio


Prima di scivolare nell’azzurro intenso della piscina, sul prato della loro meravigliosa casa in Toscana, George Woodman sussurra: «Mi piacerebbe avere un poco del successo che ha avuto lei». Anche se la sua «gelosia » si smorza di fronte alla perdita di una vita lasciata a poco più di vent’anni. «Vivere è bello, sono felice di avere l’esperienza dei miei 77 anni». Siamo in The Woodmans il film di C. Scott Willis, nella sezione Extra, ovvero il mondo di Francesca Woodman la cui arte comincia a essere amatissima solo dopo la suamorte. Ma lei, dice chi le stava accanto, era sempre troppo avanti sui tempi, anche quando fotografava la moda, quelle inquadrature che spiazzavano l’immagine «vacua» delle modelle hanno fatto scuola oggi, trent’anni dopo.

George è suo padre, artista astratto mai riconosciuto, che dopo la morte della figlia amatissima si dedica alla fotografia, scatta immagini con fanciulle adolescenti, a lei molto somiglianti, copiandone le pose e lo stile con un effetto lolita-artie del tutto ignoto al corpo morbido e tormentato di Francesca. Lei è surrealimo, performance, ricerca di un linguaggio che come scrive nel suo diario, riesca a svelare la realtà. Un’altra, quella non evidente del conflitto, del dolore, della ricerca di un’identità che, quando lei esce dal quadro, spalanca sempre un vuoto.

Il film ne ripercorre la vita attraverso le voci dei genitori, gli amici di infanzia, le amiche dell’università, il fratello Charlie. Una famiglia che custodisce con estrema attenzione la memoria della figlia - per questo forse è «obbligata» la relazione - ma Willis è molto bravo nell’ascoltare senza pregiudizi, e sa lasciare molte maglie aperte nella trama intorno alla figura di Francesca. È il modo più rispettoso e delicato di restituire un’immagine a chi non è più lì, a chi non può più raccontare di sé.

Anche Betty, la madre, è artista, lavora con le mani la ceramica, il film la incontra nella lunga preparazione di una enorme tela che sarà poi esposta a Pechino nell’ambasciata americana in occasione dei giochi olimpici. L’arte per George e Betty è la vita, su questo hanno fondato la loro relazione che va avanti da cinquantasette anni come dicono con orgoglio. Francesca scriveva nel suo diario: I miei genitori sono così così sposati non voglio essere come loro.

L’arte, e il lavoro duro, senza cedimenti dell’artista, quasi una fede. Così educano i figli, Charlie e Francesca, per loro è normale vederli creare arte. Un giorno il ragazzino grida al padre: perché non sei come gli altri? Perché non vai in ufficio? Il padre andrà a scuola a spiegare cosa fa, nell’America degli anni ’60 non basta a conquistarli, il papà di un bambino pilota di jet è molto più popolare.

Francesca esce di casa presto, ragazzina delle medie, c’erano conflitti tra i genitori e il fratello e poi chissà... Al college comincia le sue foto, ne è sempre protagonista, materia e scena col suo corpo di una sperimentazione irrequieta e insaziabile. Fusa nella natura, in stanze vuote e scassate, il corpo è sempre nudo ma non ci sono ammiccamenti. È uno spazio mentale, sensuale, è la dove l’arte nella sua storia ha preso forma.

Di lei le amiche dicono che metteva il sesso avanti a tutto - ma nel film non incontriamo nessuno dei suoi fidanzati. C’è Benjamin, complice nella sua arte, lo amava, soffriva - Sono felice quando non mi tratta come un insetto scrive.

Il corpo danza dolore, sentimento, si sporca di vernice, si nasconde nella plastica. Era determinata ricorda la sua modella romana. E molto fragile anche. Egocentrica come gli artisti. Voleva essere riconosciuta, la depressione la massacra: sento la mia vita come un caffè stantio scrive prima di volare giù, come un’eroina di Shirin Neshat dal grattacielo su New York.
Nel caledoscopio delle voci, i sensi di colpa dei genitori, il fratello, affiorano frammenti di Francesca. Lei però - e questo dice Hillis - è nelle sue fotografie, nei video, in un gesto artistico rimasto fino a oggi. Di emozionante assolutezza.

(Cristina Piccino,
il Manifesto, 31 ottobre 2010,
in occasione della presentazione di "The Woodmans" al festival di Roma).




Sono particolarmente legato al lavoro di questa artista.
Ne parlai a gennaio e ad aprile.
Perdonate l'insistenza.




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