domenica 29 novembre 2009

È un miracolo





Io son sicuro che quelli che l'hanno costruita dopo
si sono messi a guardarla da qui.
Proprio dove sono io.
Sono stati bravissimi.
È un miracolo !
Io brindo a te Chiesa dei Miracoli.
 

Paolo e Vittorio Taviani
Good Morning Babilonia
1987

venerdì 27 novembre 2009

Forse un uomo

Il 30 Novembre del 1786 per la prima volta al mondo il Granduca di Toscana abolì la pena di morte. Per questo motivo dal 2001 la Regione Toscana ha istituito la Festa della Toscana il 30 novembre di ogni anno.

Nell'ambito della Festa della Toscana ieri sera ho partecipato al teatro Verdi di Pisa alla prima assoluta della presentazione del nuovo album "Forse un uomo" scritto da Sandro Luporini, cantato da Giulio Agnello e con musiche di Meme Lucarelli.

Questo album, che uscirà sul mercato discografico il prossimo gennaio con etichetta Warner, segna il ritorno di Luporini alla canzone dopo il black-out seguito alla morte di Gaber. E si tratta di un ritorno in musica e non solo testo come era ai tempi del Teatro della  Canzone. L'album, composto da 12 canzoni, è nato,
tra Sandro e Giulio, al Lampione Giallo in via dei Tigli a Viareggio. Ed è un album di canzoni d'amore: Luporini vi è tornato dopo la sua ultima esperienza del 1986 con "Parlami d'amore Mariu".

Come al solito ho scritto sulla moleskine i versi che più mi hanno colpito delle canzoni ascoltate (aspettando gennaio quando acquisterò il CD e potrò avere i testi completi).

Questo mondo
    Il tutto è falso
    Il falso è tutto.


Io che non ho mai amato nessuno

Difficoltà d'amare
    Amica mia non so ancora se ti amo o ti ho preso per il culo

...
    Se un odore inconfondibile restasse sulla pelle di una donna innamorata,
    allora forse capiremmo la vita.


Esperienza dell'assenza
    [ parte anonima e si configura come una rumba/flamenco ]
    Senza memoria un uomo che cos'è?

Il letto
    [ recitata e perciò simile a quelle del Teatro della Canzone ]
    [ la canzone più bella secondo me e anche secondo Luporini stesso ]
    [ mi è tornato in mente l'asciugamano da usare
      dopo aver fatto l'amore sul letto ]

Ipotesi per Maria
    Se un uomo è fedele diventa immortale

Imperdonabile idiozia
    [ nata alla  rovescia: per la prima volta Luporini ha scritto le parole
      solo dopo aver ascoltato la musica ]

Ma il dolore
    D'amore non si muore
    Alla fine di un amore la paura di soffrire diventa assai più forte del dolore
    Il dolore amico più sincero se vuoi riuscire a crescere davvero
    Il dolore è la cosa più giusta per non avere bisogno dell'analista


...
    [ utilizza la chitarra battente in uso fin dal '600 ma adesso poco usata,
      a parte Pino Daniele in una sua canzone ]
    Ho visto alcuni bambini andare a scuola con la pistola
    Stuprare corpo di bambina
    Tarlo che corrode da dentro


Alla fine dello spettacolo applausi meritatissimi per lunghi lunghi minuti. Peccato non ci fosse Luporini a goderseli, bloccato a casa per una convalescenza.



Durante la presentazione del nuovo album Giulio Agnello ha anche presentato alcuni classici di Luporini/Gaber. Tra questi anche "Dilemma". La più bella canzone scritta sul rapporto di coppia (l'ha detto Michele Serra, non io!).



In una spiaggia poco serena
camminavano un uomo e una donna
e su di loro la vasta ombra di un dilemma.
L'uomo era forse più audace
più stupido e conquistatore
la donna aveva perdonato, non senza dolore.
Il dilemma era quello di sempre
un dilemma elementare
se aveva o non aveva senso il loro amore.

In una casa a picco sul mare
vivevano un uomo e una donna
e su di loro la vasta ombra di un dilemma.
L'uomo è un animale quieto
se vive nella sua tana
la donna non si sa se ingannevole o divina.
Il dilemma rappresenta
l'equilibrio delle forze in campo
perché l'amore e il litigio sono le forme del nostro tempo.

Il loro amore moriva
come quello di tutti
come una cosa normale e ricorrente
perché morire e far morire
è un'antica usanza
che suole aver la gente.

Lui parlava quasi sempre
di speranza e di paura
come l'essenza della sua immagine futura.
E coltivava la sua smania
e cercava la verità
lei l'ascoltava in silenzio, lei forse ce l'aveva già.
Anche lui curiosamente
come tutti era nato da un ventre
ma purtroppo non se lo ricorda o non lo sa.

In un giorno di primavera
quando lei non lo guardava
lui rincorse lo sguardo di una fanciulla nuova.
E ancora oggi non si sa
se era innocente come un animale
o se era come instupidito dalla vanità.
Ma stranamente lei si chiese
se non fosse un'altra volta il caso
di amare e di restar fedele al proprio sposo.

Il loro amore moriva
come quello di tutti
con le parole che ognuno sa a memoria
sapevan piangere e soffrire
ma senza dar la colpa
all'epoca o alla Storia.

Questa voglia di non lasciarsi
è difficile da giudicare
non si sa se è cosa vecchia o se fa piacere.
Ai momenti di abbandono
alternavano le fatiche
con la gran tenacia che è propria delle cose antiche.
E questo è il sunto di questa storia
per altro senza importanza
che si potrebbe chiamare appunto resistenza.

Forse il ricordo di quel Maggio
gli insegnò anche nel fallire
il senso del rigore, il culto del coraggio.
E rifiutarono decisamente
le nostre idee di libertà in amore
a questa scelta non si seppero adattare.
Non so se dire a questa nostra scelta
o a questa nostra nuova sorte
so soltanto che loro si diedero la morte.

Il loro amore moriva
come quello di tutti
non per una cosa astratta
come la famiglia
loro scelsero la morte
per una cosa vera
come la famiglia.

Io ci vorrei vedere più chiaro
rivisitare il loro percorso
le coraggiose battaglie che avevano vinto e perso.
Vorrei riuscire a penetrare
nel mistero di un uomo e una donna
nell'immenso labirinto di quel dilemma.
Forse quel gesto disperato
potrebbe anche rivelare
come il segno di qualcosa che stiamo per capire.

Il loro amore moriva
come quello di tutti
come una cosa normale e ricorrente
perché morire e far morire
è un'antica usanza
che suole avere la gente.

martedì 24 novembre 2009

Quando sarò capace di amare


Ieri una persona mi ha regalato questa canzone.
E ha toccato corde profonde.





Quando sarò capace d'amare
probabilmente non avrò bisogno
di assassinare in segreto mio padre
né di far l'amore con mia madre in sogno.

Quando sarò capace d'amare
con la mia donna non avrò nemmeno
la prepotenza e la fragilità
di un uomo bambino.

Quando sarò capace d'amare
vorrò una donna che ci sia davvero
che non affolli la mia esistenza
ma non mi stia lontana neanche col pensiero.

Vorrò una donna che se io accarezzo
una poltrona, un libro o una rosa
lei avrebbe voglia di essere solo
quella cosa.

Quando sarò capace d'amare
vorrò una donna che non cambi mai
ma dalle grandi alle piccole cose
tutto avrà un senso perché esiste lei.

Potrò guardare dentro al suo cuore
e avvicinarmi al suo mistero
non come quando io ragiono
ma come quando respiro.

Quando sarò capace d'amare
farò l'amore come mi viene
senza la smania di dimostrare
senza chiedere mai se siamo stati bene.

E nel silenzio delle notti
con gli occhi stanchi e l'animo gioioso
percepire che anche il sonno è vita
e non riposo.

Quando sarò capace d'amare
mi piacerebbe un amore
che non avesse alcun appuntamento
col dovere

un amore senza sensi di colpa
senza alcun rimorso
egoista e naturale come un fiume
che fa il suo corso.

Senza cattive o buone azioni
senza altre strane deviazioni
che se anche il fiume le potesse avere
andrebbe sempre al mare.

Così vorrei amare.

(Gaber, Luporini)

domenica 22 novembre 2009

Coccole


Oggi estremo bisogno di coccole.

Quelle sonore me le sono rubate dal
blog di Marilicia ascoltandomi Closest Thing to Crazy di Katie Melua. Questa canzone è taumaturgica per me.





Quelle gastronomiche me le sono create a pranzo con un piatto di pasta al radicchio rosso e, dopo pranzo, cucinandomi un superbo castagnaccio.




Quelle di cuore gustandomi "Al di là dei sogni" con Robin Williams.
E scommetto che il film sarebbe piaciuto anche alla mia amica talpa.



sabato 21 novembre 2009

C'è un lupo nel parco



Oggi ho partecipato, con altre 50 persone, a una camminata attraverso il parco di San Rossore. Eravamo accompagnate da due guide del parco che ci illustravano gli aspetti naturalistici del paro. E lungo la lunga passeggiata (due ore e mezza) ci sono state alcune soste durante le quali abbiamo assistito alla rappresentazione teatrale (nel bosco!) di alcune pagine tratte da "Lettere a un lupo" di Giuliano Scabia. Le attrici facevano parte del progetto (finanziato dall'Unione Europea) "Le storie e i prodotti del parco". L'occasione di questo particolare excursus artistico è infatti l'avvistamento nei confini del Parco di un esemplare di lupo maschio. Esso è un esemplare probabilmente sceso dalla Val di Cecina. Sembra aver trovato a San Rossore un habitat favorevole tanto che, a parte alcune scorribande fino alla pineta di Migliarino, che raggiunge attraversando a nuoto il Serchio, la sua presenza nella ex-tenuta presidenziale è costante. Alla fine del trekking abbiamo pranzato alla Villa la Sterpaia dove abbiamo gustato una ottima zuppa alla pisana e una serie infinita (ne ho contati almeno 8 diversi) di salumi, uno più buono dell'altro.

Dal punto di vista naturalistico ho imparato tante cose. Per esempio il fatto che i picchi (simbolo dello stemma del parco) inizialmente insettivori hanno poi cominciato ad apprezzare i semi e in particolare i pinoli. Qando le pigne cadendo per terra si rompono, fanno uscire i pinoli che poi però si interrano dato che il terreno è sabbioso. I picchi raccolgono i pinoli ma non riescono a romperne il guscio sul terreno soffice. Allora fanno un buco sulla corteccia del pino e vi infilano ben bene il pinolo. E poi fanno un altro buco immediatamente sopra il primo e rompono il pinolo con il becco e lo raccolgono senza buccia dal secondo buco. Quando poi però rifanno la stessa cosa con il prossimo pinolo non riusano i due vecchi fori, ma ne fanno di nuovi. Il risultato di tutto ciò è che su molti pini ci sono "mitragliate" di fori lungo la corteccia.

Dal punto di vista storico ho finalmente capito perché all'interno del parco, vicino all'ingresso, c'è un enorme rotonda circolare erbosa intorno a cui gira la strada. Mi era sempre sembrata senza senso quell'enorme rotonda di cui non capivo il senso. Solo oggi ho scoperto che all'interno di quella enorme rotonda c'era la residenza reale che, come quasi tutti gli altri edifici del parco, furono minati alle fondamenta e fatti saltare dai tedeschi durante a IIª guerra mondiale. Ecco perché non c'è quasi nessuno edificio storico sopravvissuto. Eppure ce ne erano moltissimi dal tempo dei Lorena in poi.

Dal punto di vista cinematografico, una delle varie soste teatrali durante il trekking è stata in una radura dove i Taviani girarono una scena d'amore di "Good Morning Babilonia". Io ho sempre amato moltissimo quel film dei Taviani che non è mai ritrasmesso in TV o nei cineforum e di cui non esiste una versione su DVD. Una delle scene più belle di quel film è la scena iniziale dove i due protagonisti lavorano sulla facciata di una basilica pisana. Ne ho parlato con alcune persone conosciute durante il trekking e queste mi hanno indirizzato ad un negozietto dove avrei forse potuto finalmente trovare il film che tanto cercavo. E infatti oggi pomeriggio ho fatto un giro down-town, ho scoperto il negozietto e alla fine della prossima settimana finalmente otterrò una copia del tanto agognato film.



Il terreno era pieno di funghi.
In cielo volavano molti aironi che poi si posavano sui rami alti degli alberi.
Nelle zone umide c'erano tantissime libellule.
Per terra abbiamo visto orme di daini e cinghiali.
Lungo i canali diversi rovi tra cui anche la famosa pianta dell'inchiostro.
Ma alla fine... il lupo non si è visto.

È stata una bella giornata.

mercoledì 18 novembre 2009

Appelsinpiken





Due giorni fa, il 17 novembre, ho terminato di leggere La ragazza delle arance di Jostein Gaarder. E questa non è una data casuale perché proprio in questa data, nella quart'ultima pagina del libro, il protagonista risponde ad una domanda fondamentale. Sarà un caso che anche io ho teminato di leggerlo in quella data?

Ma non voglio svelare nulla. Anche perché c'è ben poco da svelare. Questo è uno dei libri più letti dal popolo di aNobii: 1600 in Italia l'hanno letto, 1000 l'hanno votato con un voto medio di 3/4 e ben 250 hanno espresso il loro dettagliato commento (clicca sull'immagine qui a fianco).


E poi ho scoperto che in Norvegia a febbraio è pure uscito un film tratto da questo libro (il trailer originale qui sotto).



A me il libro è piaciuto moltissimo. È il secondo miglior libro che abbia letto quest'anno (superato solo da In viaggio contromano di Michael Zaadorian). Quindi, come mio costume, vado a citare alcuni dei passaggi che più mi hanno colpito.
Scrisse la storia della "Ragazza delle arance" affinché la leggessi una volta che fossi grande abbastanza da poterla capire. Scrisse una lettera per il futuro.

Non credevo mi avesse notato, ma improvvisamente alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e mi guardò dritto negli occhi. Così mi colse con le mani nel sacco, perché capì che era da un po' che la stavo contemplando. Mi fece un sorriso pieno di calore, e quel sorriso, Georg, avrebbe potuto sciogliere il mondo intero, perché se il mondo l'avesse visto avrebbe avuto la forza di fermare tutte le guerre e tutte le inimicizie del pianeta, o almeno di interrompere per lungo tempo l'uso delle armi.

Mi viene da pensare ad un verso del poeta danese Piet hein: "Coloro che non sanno vivere ora non vivranno mai. Tu cosa fai?".

"E presto le campane annunceranno il Natale", dico. "Non è vero? Tu non puoi restare in città dopo il rintocco delle campane". A questo non risponde, mi stringe soltanto la mano, con forza e tenerezza, come se stessimo fluttuando con leggerezza per lo spazio, come se ci fossimo ubriacati di latte intergalattico e avessimo l'universo intero per noi.

Girai la cartolina. Il timbro era di Siviglia, e c'era scritto semplicemente: "Ti penso. Riesci ad aspettare ancora un po'?".

Ero eccitato, il cuore si mise a produrre in quantità eccessive delle sostanze che noi medici chiamiamo endorfine. Esiste un termine per questo stato quasi morboso di esaltazione. Si dice che il paziente è euforico. Era in questo stato che mi trovavo ora.

Certe volte nella vita dobbiamo essere capaci di sopportare la nostalgia.

Probabilmente non esiste nessuna intimità  che possa competere con due sguardi che si incontrano con fermezza e decisione e che semplicemente rifiutano di lasciar la presa.

Noi siamo questo universo, noi. Forse il nostro sviluppo non è ancora completo. Lo sviluppo fisico dell'uomo doveva ovviamente avvenire prima di quello psichico. E forse la natura fisica di questo universo è solo una cosa esteriore, il materiale necessario per l'autocomprensione del cosmo.

martedì 17 novembre 2009

Qui la banca mondiale



Secondo me la Ziche ha disegnato questa vignetta quando ha intercettato questo scambio di SMS tra me e la mia banca.


Da: Banca Mondiale
A: Guerreronegro
Data: 28/08/2009 07:14
Qui la banca mondiale. Dai nostri tabulati risulta un conto da Lei mai toccato. L'importo equivale ad una vita d'amore. La preghiamo di volerne disporre al più presto.


Da: Guerreronegro
A: Banca Mondiale
Data: 28/08/2009 07:33
Cara Banca Mondiale avevo provato in passato a movimentare il mio conto, ma con scarso successo. Sono contento che mi informiate che il conto non si sia prosciugato e che io possa ancora disporne. Sono diventato adesso estremamente timoroso nel maneggiare quella valuta. Non vorrei lasciarla lì ad avvizzire. Ma non voglio neppure ustionarmi tutto il corpo come questa ultima volta che ho ancora le cicatrici aperte che mi bruciano e mi fanno piangere.


Da: Banca Mondiale
A: Guerreronegro
Data: 28/08/2009 08:33
Carissimo cliente negli anni abbiamo sempre onorato le donazioni che lei ha voluto fare. Ora volevamo invitarla ad usufruire personalmente del capitale. Solo tramite l'utilizzo personale si ottengono dei profitti dal capitale. Le donazioni invece tendono a prosciugare il conto. Per quanto riguarda il nostro settore giardino ci teniamo a farle presente che i semi piantati hanno sì bisogno di venire innaffiati, ma per favore non con acqua salata!


giovedì 12 novembre 2009

Non insegnate ai bambini





Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia di una falsa coscienza.

Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
non indicate per loro
una via conosciuta
ma se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.

Giro giro tondo cambia il mondo.

Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
l'unica cosa sicura è tenerli lontano
dalla nostra cultura.

Non esaltate il talento
che è sempre più spento
non li avviate al bel canto, al teatro
alla danza
ma se proprio volete
raccontategli il sogno di
un'antica speranza.

Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all'amore il resto è niente.

Giro giro tondo cambia il mondo.
Giro giro tondo cambia il mondo.
(Gaber, Luporini)

mercoledì 11 novembre 2009

Perché non sei venuta prima della guerra?


Domenica scorsa, uggiosa e casalinga, mi sono letto
Perchè non sei venuta prima della guerra? di Lizzie Doron (edizioni Giuntina).

Parla della Shoah, senza mai nominarla. Protagonista è Helena che riesce a separare il bene dal male in maniera netta, chirurgica, senza nessun compromesso.

All'inizio questo libro non mi ha preso. Ma mi sono imposto di continuare la lettura. E via via che i capitoli passavano mi piaceva sempre di più questa madre (Helena) e sua figlia (Lizzie, l'autrice narrante) che si vergognava talvolta un po' di lei.

Alla fine il libro me lo sono letto tutto con passione sempre più crescente. Il racconto (il capitolo) più bello è quello centrale intitolato Libertà. Ma era troppo lungo per essere ricopiato qui sul blog. Così ne riporto un altro, più breve, ma ugualmente bello. Si intitola:


Selezione


I festeggiamenti del mio bat-mitzvà si erano conclusi.
Helena si sedette sulla sedia a dondolo in camera mia. La sedia era rivolta verso la finestra che dava sul cortile invaso dalle erbacce.
"Tutti i regali qui!" ordinò, e con il dito indicò lo spazio ai suoi piedi. Uno dopo l'altro i regali furono scartati e Helena li passò in rassegna come fosse la presidentessa della fondazione per la sicurezza dei giochi. Ogni regalo, senza eccezione, fu controllato. Helena li girava, se li avvicinava agli occhi, li esaminava, come se per lei fosse di capitale importanza che qualcosa non sfuggisse al suo controllo.
"Dobbiamo selezionarli, dobbiamo selezionarli" diceva senza sosta mentre si occupava dei regali.
E all'improvviso le sue labbra si strinsero, un occhio si chiuse e l'altro si spalancò; Helena si concentrò, la sua mano appena tremante si fece ferma, come per una missione: il regalo partì dalla sua mano, fendette l'aria della stanza, decollò dalla finestra e atterrò nel cortile. Nella stanza sentimmo il rumore di cocci rotti e dalla strada si sentì il rumore delle persiane che si aprivano, una a destra e l'altra a sinistra, sbattevano sui muri delle case come tamburelli. La finestra spalancata della mia stanza lasciava entrare la luce dei lampioni, una luce scialba rispetto alla brillantezza degli occhi dei vicini che seguivano gli eventi ed ascoltavano le voci.
E nella stanza, Helena, scegliendo: "Questo qua, questo là; questo qua, questo là" ripeteva. "Devo fare una selezione, non tutti i regali possono rimanere in casa", e scusandosi: "Ma tu non devi essere triste, il regalo che volevi l'ho già preparato da tempo, è nell'armadio, sulla mensola in basso a destra".
Un registratore e una macchina fotografica mi aspettavano impachettati nell'armadio.
E intanto il cortile, sotto la nostra finestra, continuava ad accumulare oggetti che non aveva mai visto: giochi, asciugacapelli, accessori e bigiotteria.
La mattina seguente il cortile si era trasformato. Molti bambini chiedevano di poterci giocare, riunire e montare i pezzi del puzzle. Gli adulti osservavano e la maggior parte rimaneva in silenzio.

Guta la rabbinessa chiese: "Perché? Come mai Helena ha gettato nel cortile i regali che Elizabeth ha ricevuto per il suo bat-mitzvà?"
E suo marito, il rabbino, si arrabbiò e con tono lamentoso protestò: "Con quale diritto ha deciso di fare una selezione di regali non suoi!".
"Forse ha pensato che i regali erano troppo miseri" Fruma la maestra propose come soluzione per quel mistero.
"Forse ha buttato via i regali delle persone che non ama?" ragionò a voce alta Kalman il lattaio lasciando davanti alla nostra porta una bottiglia di latte gratis. "Un regalo per Elizabeth", scrisse nel biglietto "augurando a Helena di avere una figlia forte e sana".
E poi ci furono le voci che dicevano che Helena era impazzita, ma una risposta chiara e inequivocabile su quella faccenda non venne mai fuori.

Un bambino sconosciuto che abitava ai margini del quartiere iniziò a presentarsi nel cortile ogni giorno alla stessa ora. Nella cartella logora che si portava dietro c'erano sempre un quaderno a righe con la copertina trasparente, un astuccio, una matita del colore della senape, una gomma e un appuntalapis. Si sdraiava per terra, tra l'ortica e l'acetosella, prendeva i frammenti dei regali e annotava i nomi. Ore e giorni zappettò e classificò, scavando sempre più in profondità nel cortile.
Un giorno bussò alla nostra porta e chiese di consegnare a Helena un rapporto scrupoloso che aveva scritto tutto di suo pugno; nel rapporto c'erano due paragrafi.
Il primo comprendeva un'analisi completa di tutti i pezzi di oggetti che aveva trovato, e tra loro: una macchina fotografica, una radio, un orologio, un portafoglio e molti altri ancora.
Il secondo paragrafo riportava le conclusioni: "Ecco quanto ne consegue:" aveva scritto "non ci sono stati ritrovamenti di reperti integri, ma soltanto parti di oggetti vari fatti di diversi materiali".
In una nota, scritta con lettere grandi e storte, aveva aggiunto: "L'unica cosa degna di nota che ho rilevato è stata la scritta presente su tutti gli oggetti: Made in Germany. Può darsi che Helena non sia disposta a tenere in casa cose provenienti da un paese straniero.
In fede.
Yosef Rafael".

Helena abbracciò il bambino e gli chiese: "Cosa vuoi fare da grande?".
"L'archeologo" rispose.
"Diventerai sicuramente famoso," gli disse "sei un bambino intelligente e curioso. Quando sarai un archeologo sono sicura che scoprirai un sacco di segreti seppelliti sotto la terra".
Lui sorrise e se ne andò. La missione era compiuta. Yosef Rafael non si vide più nel cortile di Helena.

6 ottobre 1973.

Yosef Rafael fu ucciso sulle alture del Golan.
Helena si recò sulla sua tomba ogni anno fino al giorno della sua morte, e con sé portava sempre un mazzo di fiori selvatici del cortile.


domenica 8 novembre 2009

Invisibile agli occhi

Due settimane fa Cesare se n'è andato. Due settimane prima di compiere 90 anni. Gli ho parlato, ma mi sembrava di non vederlo, mi sembrava che non mi capisse. Invece mi ascoltava. E mi ha fatto un grosso regalo. Ha fissato un paletto, una boa intorno a cui quest'anno di cipolle è finalmente virato. E una settimana fa, quando il mattino mi sono svegliato, mi sono sentito forte. E ho ricominciato. Adesso non sono più assetato come lo sono stato negli ultimi tempi. Sono calmo e determinato.

E oggi ho letto Invisibile agli occhi (come Cesare lo è stato per me anche se, forse, non io per lui) di Wolfgang Fasser e Massimo Orlandi (casa editrice Fraternità di Romena).

Alcune citazioni sottolineate a matita nel libro sono queste...

L'amore è un sarto capace, cuce bene due caratteri diversi.

A un figlio i genitori possono dare soltanto due cose: le radici e le ali.

Accettare i propri limiti, non combatterli, sarà questa la tua strada.

I limiti non ti definiscono, ma ti guidano.

Guarigione non è riparazione, guarigione è sviluppo delle nostre risorse umane.

Cinque mesi, centocinquanta giorni. È il minimo indispensabile perché quella ferita possa avere tutto il suo spazio: solo se la lasci respirare potrà rimarginarsi.

I beni più preziosi non devono essere cercati ma attesi.

I mass media si vedono, si fanno vedere, esigono i nostri occhi per bombardarli. Udito, tatto, odorato si sono ridotti a funzioni ridondanti, semplici appendici.

Non è forse vero che per gustare fino in fondo qualcosa di profondo dobbiamo chiudere gli occhi? Come quando si ascolta un concerto, si fa l'amore, si prega.

Vivere fortemente l'ora presente è la migliore preparazione al futuro.

Perché non ti sei sposato?
Perché non ho trovato la donna giusta.
No, non è vero che non hai trovato la donna giusta. La donna giusta non esiste. Se vuoi davvero una compagna, tu devi sapere quali sono i valori irrinunciabili per te. Solo allora potrai incontrarla.

L'amore è arrivato, più volte, segno che la porta per entrare nel suo cuore è aperta. Il problema è che nessuna donna ha trovato un posto e un modo per potersi fermare.

Quando ti chini nel profondo di te non sempre trovi ciò che ti fa piacere: però se leggi bene, incontri i tuoi bisogni primari, ciò che tira fuori le tue energie migliori. Trovi te.

venerdì 6 novembre 2009

I nove miliardi di nomi di Dio

Il dottor Wagner riuscì a controllarsi. Valeva la pena. Poi disse: "La vostra richiesta è un po' sconcertante. Per quanto ne so io, e' la prima volta che un monastero tibetano ordina una calcolatrice elettronica. Non voglio essere indiscreta, ma ero ben lontano dal pensare che una simile comunità potesse aver bisogno di quella macchina. Posso chiedervi che cosa ne volete fare?"
Il lama si aggiustò i lembi della sua veste di seta e posò sul tavolo il regolo con cui aveva calcolato il cambio libbra-dollaro. "Volentieri, la vostra calcolatrice elettronica tipo 5 può eseguire, stando al vostro catalogo, tutte le operazioni matematiche fino a 10 decimali. Tuttavia m'interessano le lettere, con le cifre. Vi chiederò di modificare il circuito di uscita in modo da stampare lettere invece che colonne di cifre."
"Non afferro bene..."
"Da quando il nostro monastero è stato fondato, più di tre secoli fa, noi ci dedichiamo ad un certo lavoro. È un lavoro che forse vi può sembrare strano, e vi chiederò di ascoltarmi con grande apertura mentale."
"D'accordo."
"È semplice. Stiamo compilando la lista di tutti i possibili nomi di Dio.
"Prego?"
Il lama continuò imperturbabile: "Abbiamo eccellenti motivi di credere che tutti quei nomi richiedano al massimo nove lettere del nostro alfabeto."
"E avete fatto questo per tre secoli?"
"Sì, avevamo calcolato che ci sarebbero stati necessari quindicimila anni per portare a termine il nostro lavoro."
Il dottore emise un fischio confuso, in modo un po' sciocco: "OK, capisco ora perché volete noleggiare una delle nostre macchine. Ma qual è lo scopo dell'operazione?"
Per una frazione di secondo il lama esitò e Wagner temette di avere offeso quel singolare cliente che aveva fatto il viaggio Lhasa-New York, con un regolo calcolatore e il catalogo della Compagnia delle Calcolatrici Elettroniche nella tasca della sua veste color zafferano.
"Definitela una pratica rituale, se volete" disse il lama "ma è una parte fondamentale della nostra fede. I nomi dell'Essere Supremo, Dio, Giove, Jehova, Allah, ecc. non sono che etichette disegnate dagli uomini. Considerazioni filosofiche troppo complesse perché io possa esporle qui ci hanno condotto alla certezza che fra tutte le possibili permutazioni e combinazioni di lettere, si trovano i veri nomi di Dio. Ora, il nostro scopo è di trovarli e di scriverli tutti."
"Vedo. Voi avete cominciato con AAA AAA AAA è arriverete a ZZZ ZZZ ZZZ."
"Salvo che noi adoperiamo il nostro alfabeto. Vi sarà certamente facile modificare la macchina da scrivere elettrica in modo che usi il nostro alfabeto. Ma un problema che vi interesserà di più sarà la messa a punto di circuiti speciali che eliminino in precedenza le combinazioni inutili. Per esempio, nessuna delle lettere deve apparire più di tre volte successivamente."
"Tre? Volete dire due."
"No. Tre. Ma la spiegazione completa richiederebbe troppo tempo, anche se voi capiste la nostra lingua."
Wagner si affrettò a dire: "Certo, certo, continuate."
"Vi sarà facile adattare la vostra calcolatrice automatica a questo scopo. Con un opportuno programma una macchina di questo genere può permutare le lettere le une dopo le altre e stampare un risultato. Così" concluse tranquillo il lama "ciò che avrebbe richiesto ancora quindicimila anni sarà portato a termine in cento giorni."
Il dottor Wagner sentiva che stava perdendo il senso della realtà. Attraverso le finestre del building i rumori e le luci di New York si attenuavano. Si sentiva trasportato in un mondo diverso. Laggiù nel loro lontano asilo montuoso, generazione dopo generazione, monaci tibetani componevano da trecento anni la loro lista di nomi privi di senso...
Non c'era dunque limite alla follia umana? Ma il dottor Wagner non doveva manifestare i suoi pensieri. Il cliente ha sempre ragione...
Rispose: "Non dubito che possiamo modificare la macchina tipo 5 in modo che stampi liste di quel genere. Mi preoccupano di più l'installazione e la manutenzione. Inoltre non sarà facile inviarla nel Tibet."
"Possiamo superare questa difficoltà. I pezzi staccati sono di dimensioni sufficientemente piccole per poter essere trasportati in aereo. È proprio per questo che abbiamo scelto la vostra macchina. Spedite i pezzi in India, ci incaricheremo noi del resto."
"Desiderate assumere due dei nostri ingegneri?."
"Sì, per montare e controllare la macchina durante i cento giorni."
"Farò una nota alla direzione del personale" disse Wagner scrivendo sul suo taccuino. "Ma restano da risolvere due questioni..."
Prima che terminasse la frase, il lama tirò fuori dalla tasca un foglietto. "Questo è un documento comprovante il mio conto alla Banca Asiatica".
"Grazie. Perfetto... Ma, se permettete, la seconda questione è così elementare che esito a parlarne. Capita spesso che si dimentichi qualche cosa di evidente. Avete una sorgente di energia elettrica?"
"Abbiamo un generatore elettrico Diesel di 50 kw di potenza, 110 volt. È stato installato cinque anni fa e funziona bene. Ci facilita la vita, al monastero. L'abbiamo acquistato soprattutto per far girare le ruote delle preghiere."
"Ah! Sì, certamente, avrei dovuto pensarci..."
Dal parapetto la veduta faceva venire le vertigini, ma è noto che ci si abitua a tutto.
Erano passati tre mesi e Georges Hanley non era più impressionato dai seicento metri di strapiombo che separavano il monastero dai campi che nella pianura sembravano formare una scacchiera. Appoggiato ad una delle pietre corrose dal vento, l'ingegnere contemplava con occhio pigro le montagne lontane, di cui ignorava il nome. "L'operazione nome di Dio", come l'aveva definita un umorista della Compagnia, era certamente il peggior lavoro da matto a cui avesse mai partecipato.
Una settimana dopo l'altra, la macchina tipo 5 modificata aveva coperto migliaia di fogli di un incredibile volapük. Paziente e inesorabile, la calcolatrice aveva aggregato le lettere dell'alfabeto tibetano in tutte le possibili combinazioni, esaurendo una serie dopo l'altra. I monaci ritagliavano certe parole appena uscite dalla macchina da scrivere elettrica e le incollavano con devozione in enormi registri. Entro una settimana avrebbero finito.
Hanley ignorava con quali calcoli misteriosi essi erano arrivati alla conclusione che non occorreva studiare raggruppamenti di dieci, venti, cento, mille lettere, e non ci teneva affatto a saperlo. Nei suoi incubi talvolta sognava che il gran lama aveva improvvisamente deciso di complicare un po' di più l'operazione e di continuare il lavoro fino all'anno 2060. Quell'accidenti di brav'uomo ne sembrava, del resto, perfettamente capace. La pesante porta di legno sbatté. Chuk lo aveva raggiunto sulla terrazza. Chuk fumava, come al solito, un sigaro: si era reso popolare tra i lama distribuendo loro i sigari avana. "Quei tipi potevano essere scemi del tutto" pensò Hanley "ma non erano dei puritani." Le frequenti spedizioni al villaggio non erano state senza interesse...
"Ascolta, Georges" disse Chuk. "Abbiamo delle noie."
"La macchina è guasta?"
"No."
Chuk si sedette sul parapetto. Era straordinario perché, di solito, temeva le vertigini.
"Ho scoperto lo scopo dell'operazione."
"Ma lo sapevamo!"
"Sapevamo che cosa i monaci volevano fare, ma non sapevamo perché."
"Bah! Sono matti..."
"Ascolta, Georges, il vecchio mi ha spiegato. Essi pensano che quando avranno scritto tutti quei nomi (e, secondo loro, ce ne sono circa nove miliardi), lo scopo divino sarà raggiunto. La razza umana avrà compiuto ciò per cui era stata creata."
"Allora che cosa? Si aspettano il nostro suicidio?"
"Inutile. Quando la lista sarà terminata, Dio interverrà e sarà finita."
"Quando avremo finito sarà la fine del mondo?"
Chuk ebbe una risatina nervosa: "È ciò che ho detto al vecchio. Allora mi ha guardato in un modo strano, come un professore guarda un allievo particolarmente stupido, e mi ha detto: "Oh! Non sarà una cosa cosi insignificante... "."
Georges rifletté un istante.
"È un tipo che ha evidentemente idee larghe" disse "ma, detto questo, che cosa cambia? Sapevamo già che erano matti."
"Sì. Ma non capisci che cosa può capitare? Se la lista viene terminata e le trombe dell'angelo Gabriele, versione tibetana, non suonano, essi possono concludere che la colpa è nostra. Dopo tutto, impiegano la nostra macchina. Non mi piace questa faccenda..."
"Ti seguo" disse lentamente Goerges "ma ne ho viste altre. Quando ero ragazzo, in Louisiana, un predicatore annunciò la fine del mondo per la domenica seguente. Centinaia di tipi ci credettero. Alcuni, vendettero persino le loro case. Ma la domenica seguente nessuno era irritato; la gente pensava che si era un po' sbagliato nei suoi calcoli, e un mucchio di loro hanno ancora la fede."
"Nel caso che tu non ['abbia notato, ti faccio presente che non siamo in Louisiana. Siamo soli, noi due, fra centinaia di monaci. Io li adoro, ma preferirei essere altrove quando il vecchio lama si accorgerà che l'operazione è fallita."
"Una soluzione c'è. Un piccolo sabotaggio inoffensivo. L'aereo arriva fra una settimana e la macchina finirà il suo lavoro entro quattro giorni, in ragione di ventiquattro ore al giorno. Non c'è che da mettersi a riparare qualche cosa per due o tre giorni. Se si fanno bene i calcoli noi possiamo essere già all'aeroporto quando l'ultimo nome uscirà dalla macchina."

Sette giorni dopo mentre i piccoli ponies di montagna scendevano per la strada a spirale, Hanley disse: "Ho un po' di rimorsi. Non scappo perché ho paura, ma perché mi dispiace. Non vorrei vedere la faccia di quelle brave persone quando la macchina si fermerà."
"Secondo me" disse Chuk "hanno capito benissimo che noi ci mettevamo in salvo, ma la cosa è loro indifferente. Ora sanno fino a che punto la macchina è automatica e non ha bisogno di sorveglianza. E pensano che non ci sarà seguito."
Georges si girò sulla sella e guardò. Le costruzioni del monastero si profilavano scure nel sole al tramonto. Piccole luci brillavano di quando in quando sotto la massa scura delle mura come gli oblò di una nave in rotta. Lampade elettriche attaccate al circuito della macchina n. 5.
Che cosa sarebbe capitato alla calcolatrice elettrica? si domandò Georges. I monaci l'avrebbero distrutta nella loro ira e nel loro disappunto? O magari avrebbero ricominciato da capo?
Come se fosse ancora lassù, egli vedeva ciò che accadeva in quel momento sulla montagna, dietro le muraglie. Il gran lama e i suoi assistenti esaminavano i fogli, mentre alcuni novizi ritagliavano nomi barocchi e li incollavano nell'enorme registro. E tutto questo si faceva in un religioso silenzio. Non si sentivano che i tasti della macchina, che battevano la carta come una dolce pioggia. La calcolatrice stessa, che combinava migliaia di lettere al secondo, era completamente silenziosa...
La voce di Chuk interruppe le sue fantasticherie.
"Eccolo! Mi fa un dannato piacere!"
Simile a una minuscola croce d'argento il vecchio aereo da trasporto D. C. 3 si era posato laggiù sul piccolo aerodromo di fortuna. Quella vista metteva voglia di bere un buon sorso di scotch ghiacciato. Chuk cominciò a cantare, ma s'interruppe subito. Le montagne non lo incoraggiavano.
Georges guardò l'orologio.
"Saremo laggiù fra un'ora" disse. E aggiunse: "Credi che il calcolo sia finito?".
Chuk non rispose, e Georges levò la testa. Vide la faccia di Chuk pallidissima tesa verso il cielo.
"Guarda" mormorò Chuk.
A sua volta Georges alzò gli occhi. Per l'ultima volta, sopra di essi, nella pace delle cime, ad una ad una le stelle si spegnevano...
(Arthur Charles Clarke)

domenica 1 novembre 2009

Ming - I segreti della città proibita

Ieri ho visitato a Treviso la terza di una serie di 4 mostre biennali (La via della seta e la civiltà cinese) dedicate alla Cina. Sono tutte curate da un grande sinologo: Adriano Màdaro.

Dopo La nascita del celeste Impero nel 2005,
e Gengis Khan e il tesoro dei mongoli nel 2007,
quest'anno tocca a Ming - I segreti della città proibita.

Era rimasto molto ben impresso da quella di due anni fa, ma quella di ieri mi ha letteralmente estasiato.

Due anni fa la mostra riguardava le
diverse dinastie (Wu Dai, Xi Xia, Liao, Jin, Song e Yuan) che tra il 907 e il 1368 erano protagoniste in Asia. Nel XIII secolo l'impero mongolo si estendeva dal Mare del Giappone all'Adriatico e fu il più grande impero di tutti i tempi sul nostro piccolo pianeta.



In quella mostra
vidi cose molto pregevoli, come la corona d'oro qui a lato, ma la cosa che più mi impressionò fu un'opera recente (2005-2007) che vide impegnato per 17 mesi un famoso artista cinese. Erano 7 pannelli (ciascuno 1m x 40 cm se ricordo bene) intagliati in carta di riso nera. Sette delicatissime ragnatele nere che, concatenate insieme, formano una lunga striscia di 7 metri che riprone un antico dipinto cinese su seta (a Treviso presente in copia perché l 'originale non può mai abbandonare una particolare stanza del museo della Città Proibita dove è conservato a temperatura e umidità controllate) che rivela usi e costumi dei popoli cinesi degli inizi del secondo millennio. Questi pannelli valevano da soli, a mio avviso, il piacere della mostra.

La mostra del 2007, peraltro, fece conoscere molto altro: porcellane pregiatissime, urne funerarie (anche strane, per es. a forma di manichino di legno), spade di ferro originarie, vestiti in seta, monete e banconote (Marco Polo rimase molto stupito dall'uso della carta moneta in Asia e fu il primo a riferirlo in Occidente, notizia questa che fece molto clamore), gioelli stupendi e altro.


Quest'anno la mostra copre invece la dinastia dei 16 imperatori Ming dal 1368 al 1644. Questa dinastia non va ricordata solo per le porcellane blu. La mostra ci presenta arte orafa, giada, ebanisteria, sartoria di quel periodo. Tra i tantissimi reperti presentati (tutti stupendi) ne ripropongo qui due (con foto cliccabili).



La Corona dell'Imperatrice , spettacolare copricapo da cerimonia detto "dei sei draghi e delle tre fenici" rinvenuto nel sarcofago dell'Imperatrice Xiaojing. È composto di oro e di oltre 5,000 perle e ha più di cento pietre preziose, con inserti di piume azzurre di martin pescatore. Questo (come moltissimi altri reperti presentati a Treviso in questa mostra) è la prima volta in assoluto che esce dalla Città Proibita e quindi la prima volta che viene esposto fuori dalla Cina.



Chakrasamvara (in brozo dorato dell'inizio della Dinastia dei Ming), detto anche Chakravamsara, è il protettore della setta Anuttara Yoga del Buddismo tibetano e partner sessuale di Vajrayogini. Divinità con quattro volti e quattro braccia e sulla testa porta un copricapo fatto con un teschio, dal collo pende una collana composta da cinquanta teschi, le quattro mani afferrano quattro "vajra" (pestello, campana, coltello e tazza ricavata da un teschio).

Le cose che più mi sono rimaste impresse sono però altre.



La prima è un lungo rotolo di seta (50 cm x 14 metri di lunghezza) dipinto verso la fine della dinastia da un pittore anonimo dove è raccontata con grande dovizia di particolari e dettagli la vita delle nobildonne di Corte, impegnate in giochi e passatempi. Quest'opera è di grande valore storico e iconografico perché offre una grande quantità di informazioni soprattutto sugli abbigliamenti e acconciature femminili. Tra l'altro si può notare che in quegli anni in Cina si usava giocare a palla (in maniera indipendente dall'Occidente dove il
calcio fiorentino nacque e crebbe tra il Quattrocento e il Cinquecento, anche in Cina ci si divertiva in modi analoghi) e c'erano le altalene.

La seconda forte impressione è dovuta alla ricostruzione in legno di paulonia in scala 1:200 della Città Proibita. Quest'opera ha richiesto 23 mesi di lavoro (dal 2007 al 2009) da parte
di 14 ebanisti cinesi supervisionati da 3 architetti. È un modello impressionante (9 x 4.5 metri) che riproduce fedelmente e con un dettaglio superfino la Città Proibita.

Il mio spassionato sconsiglio è di non lasciarsi sfuggire questa mostra (resta aperta sino al 9 maggio 2010) e di visitarla sicuramente con l'audioguida dove il curatore stesso illustra molto (molto!) bene le varie sale e i vari reperti. Il catalogo costa una cifra (45 EUR) e io, quest'anno c'ho lasciato quasi metà del mio stipendio dato che mi sono preso anche i due cataloghi delle due precedenti mostre che gli anni scorsi non avevo acquistato.