mercoledì 30 settembre 2009

Chi ha un perché per vivere, può sopportare quasi ogni come

È questa frase di Nietzsche quella che può riassumere il libro "Uno psicologo nei lager" di Viktor E. Frankl.

Il dolore dell'uomo assomiglia al comportamento dei gas; con una certa quantità di gas, posta sotto pressione, riempe in ogni caso uno spazio vuoto, indipendenetemente dalla sua grandezza, così il dolore, grande o piccolo che sia, riempe in ogni caso l'animo dell'uomo.

In questo testo non si parla solo di sofferenza, ma anche di amore, definito come il punto più alto al quale l'essere umano possa innalzarsi.

L'amore non si riferisce affatto all'esistenza corporea di una persona, ma intende con profondità straordinaria l'essere spirituale della creatura amata: il suo "essere così" (come dicono i filosofi). Sono del tutto fuori causa la sua "esistenza", il suo essere-qui-con-me, perfino la sua vita fisica, il suo essere-in-vita. Se la persona amata sia viva o no, io lo ignoro, né lo verrò a sapere (durante l'internamento non potemmo scivere ne ricevere lettere), ma in questo momento ciò non ha alcuna importanza. Che la persona amata sia viva o no non ho quasi bisogno di saperlo: tutto questo non riguarda il mio amore, il mio pensiero amoroso, la contemplazione amorosa della sua immagine spirituale. Se avessi saputo che mia moglie era morta, credo che questa consapevolezza non m'avrebbe affatto turbato: avrei continuato nell'amorosa contemplazione, i miei dialoghi spirituali sarebbero stati ugualmente intensi, m'avrebbero dato la stessa pienezza.
"

Ho letto però anche delle grosse corbellerie che non mi trovano d'accordo: Se la vita ha un significato in sé, allora deve avere un significato anche la sofferenza. La sofferenza, in qualche modo, fa parte della vita - proprio come il destino e la morte. Solo con miseria e morte l'esistenza umana è completa!".

Forse la frase migliore del libro è questa: Non importa affatto cosa possiamo attenderci noi dalla vita, ma importa, in definitiva, solo ciò che la vita attende "da noi"!

martedì 29 settembre 2009

lunedì 28 settembre 2009

Quante cose belle ci stiamo perdendo?


Un violinista nella metropolitana. Una storia vera. Un uomo si mise a sedere in una stazione della metro a Washington DC ed iniziò a suonare il violino; era un freddo mattino di gennaio. Suonò sei pezzi di Bach per circa 45 minuti. Durante questo tempo, poiché era l'ora di punta, era stato calcolato che migliaia di persone sarebbero passate per la stazione, molte delle quali sulla strada per andare al lavoro. Passarono 3 minuti ed un uomo di mezza età notò che c'era un musicista che suonava. Rallentò il passo e si fermò per alcuni secondi e poi si affrettò per non essere in ritardo sulla tabella di marcia. Alcuni minuti dopo, il violinista ricevette il primo dollaro di mancia: una donna tirò il denaro nella cassettina e senza neanche fermarsi continuò a camminare. Pochi minuti dopo, qualcuno si appoggiò al muro per ascoltarlo, ma l'uomo guardò l'orologio e ricominciò a camminare. Quello che prestò maggior attenzione fu un bambino di 3 anni. Sua madre lo tirava, ma il ragazzino si fermò a guardare il violinista. Finalmente la madre lo tirò con decisione ed il bambino continuò a camminare girando la testa tutto il tempo. Questo comportamento fu ripetuto da diversi altri bambini. Tutti i genitori, senza eccezione, li forzarono a muoversi. Nei 45 minuti in cui il musicista suonò, solo 6 persone si fermarono e rimasero un momento. Circa 20 gli diedero dei soldi, ma continuarono a camminare normalmente. Raccolse 32 dollari. Quando finì di suonare e tornò il silenzio, nessuno se ne accorse. Nessuno applaudì, ne' ci fu alcun riconoscimento. Nessuno lo sapeva ma il violinista era Joshua Bell, uno dei più grandi musicisti al mondo. Suonò uno dei pezzi più complessi mai scritti, con un violino del valore di 3,5 milioni di dollari. Due giorni prima che suonasse nella metro, Joshua Bell fece il tutto esaurito al teatro di Boston e i posti costavano una media di 100 dollari. Questa è una storia vera. L'esecuzione di Joshua Bell in incognito nella stazione della metro fu organizzata dal quotidiano Washington Post come parte di un esperimento sociale sulla percezione, il gusto e le priorità delle persone. La domanda era: "In un ambiente comune ad un'ora inappropriata: percepiamo la bellezza? Ci fermiamo ad apprezzarla? Riconosciamo il talento in un contesto inaspettato?". Ecco una domanda su cui riflettere: "Se non abbiamo un momento per fermarci ed ascoltare uno dei migliori musicisti al mondo suonare la miglior musica mai scritta, quante altre cose ci stiamo perdendo?"
(Articolo copiato da qui)

domenica 27 settembre 2009

Sofie se n'è andata

Qui l'ho ripresa lo scorso 11 marzo mentra camminava sul cornicione a casa delle mie due amiche. Ieri ho saputo che un'auto l'ha investita e, dopo essersi trascinata sino al giardino di casa, si è lasciata andare. Era la più piccola del trio di gatti di quella casa e, per me, era la più simpatica e giocherellona. Mi mancherà moltissimo.

venerdì 25 settembre 2009

Guarda in cielo, c'è la luna mezza!





Parlavi alla luna giocavi coi fiori
avevi l'età che non porta dolori
e il vento era un mago, la rugiada una dea,
nel bosco incantato di ogni tua idea
nel bosco incantato di ogni tua idea.

E venne l'inverno che uccide il colore
e un babbo Natale che parlava d'amore
e d'oro e d'argento splendevano i doni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni.

Coprì le tue spalle d'argento e di lana
di pelle e smeraldi intrecciò una collana
e mentre incantata lo stavi a guardare
dai piedi ai capelli ti volle baciare
dai piedi ai capelli ti volle baciare.

E adesso che gli altri ti chiamano dea
l'incanto è svanito da ogni tua idea
ma ancora alla luna vorresti narrare
la storia d'un fiore appassito a Natale
la storia d'un fiore appassito a Natale.


giovedì 24 settembre 2009

Baci

Oggi per strada ho visto una coppia che si baciava appassionatamente.
Non ho potuto non pensare a questo film.



Benché siano passati più di 20 anni, ogni volta che vedo questa scena e ascolto questo brano di Morricone mi vengono i brividi alla schiena.

martedì 22 settembre 2009

Quando sbagli chiedi scusa


Quando sbagli chiedi scusa.
Una buona scusa è formata da tre parti:
“Mi dispiace.”
“Era colpa mia.”
“Cosa posso fare per rimediare?”
La maggior parte della gente salta la terza parte.
È da questo che puoi capire chi è sincero.

(Randy Pausch,
Last Lecture)

lunedì 21 settembre 2009

Pace subito




Chi grida "pace subito" viene allontanato dalla sicurezza.

となりのトトロ


Visto ieri sera al cinema con le figlie che temevano facesse paura come La città incantata  o come Il castello errante di Howl. Invece è piaciuto moltissimo a tutti e tre.



Tra i suoi film ricordo soprattutto

Nausicaä della Valle del Vento (1984)
Il mio vicino Totoro (1988)
Kiki consegne a domicilio (1989)
Porco rosso (1992)
Principessa Mononoke (1997)
La città incantata (2001)
Il castello errante di Howl (2004)
Ponyo sulla scogliera (2008)


domenica 20 settembre 2009

I castagni al confine tra la vita e la morte


Albero è vita. Anzi, è il simbolo della vita. Ogni inverno muore e ogni primavera risorge, rimette le foglie e le gemme. È il tempo della resurrezione. Poi c'è l'albero genealogico, e risali per i rami fino alla sorgente della vita. Poi c'è l'albero del mondo, quello che regge il cielo e se sali per il suo tronco forte arrivi chissà dove. Talvolta però accade che un albero venga toccato dalla morte e allora ne viene come contagiato. Forse la morte svolazza qua e là, poi come stanca si posa su un ramo e quello rinsecchisce. Sicché ci sono alberi morti che, pure nella morte, resistono e occupano il centro della scena.

È successo nel marzo del 1945 sulla collina sopra Belluno, il Bosco delle castagne. La morte è passata di là, travestita con divise di solato, quanto di più prossimo alla banalità del male, alla normalità della morte. Ai rami dei castagni hanno appeso con le corde un grappolo di giovani. I castagni per qualche anno hanno continuato a rinverdire ogni volta che la traiettoria del sole si alzava dopo il lungo inverno e la vita si risvegliava. Poi il contagio ha fatto effetto, dopo qualche anno. E adesso quei castagni sono scheletri neri, con i rami tagliati. Non crescono, non buttano germogli. La cura di uomini che non volevano vederli abbattuti ha consentito che restassero lì, come relitti di quegli anni di morte. E ogni primavera, verso le Idi di marzo, salgono nel bosco per tornare a trovarli.

La morte si posò il 10 marzo. Partirono alle 18 dalla caserma D'Angelo a Mussoi. Dieci partigiani scortati dalla 7ª compagnia del battaglione Schröder, composto da SS altoatesini. Li avevano presi dalla caserma Tasso, allora sede della gendarmeria tedesca comandata dal tenente Karl. Le SS ne avevano chiesti cinquanta, di partigiani, ma Karl ne aveva solo dieci a disposizione. Era la risposta ad un attacco che pochi giorni prima i partigiani della brigata Leo Di Biasi avevano compiuto al Poligono, collocando come bersaglio un ritratto di Hitler con la scritta in rosso "Zigklt gut" (mirate bene). Si erano precipitati a toglierla, erano saltati in aria. L'attentato aveva fatto otto morti e una decina di feriti.

Partirono in assetto di guerra, con le armi spiegate, per arrampicarsi fino al Bosco delle castagne, scelto perché si poteva vedere da tutta la città, ed era vicino al luogo dell'attentato. Si chiamavano Montagna, Franco, Carnera, Nino, Portos, Penna, Rampa, Mino, Fiore, Joseph. Nomi di battaglia, nomi della clandestinità.

Mario Pasi, ravennate di origine, faceva il medico a Trento. Era arrivato quasi subito, nel febbraio del 1944, nel Bellunese, e si era arruolato tra i partigiani. Catturato alle Roe di Sedico nel novembre, fu a lungo torturato nella caserma Tasso. Tentò di tagliarsi le vene, fece uscire un biglietto scritto col sangue ("Cari compagni, mandatemi del veleno, non resisto più"). Gli perforarono un ginocchio, una gamba andò in cancrena, sicché lo trasportarono prima su una Topolino, poi sopra una scala a pioli presa da una casa a Tavazzoi.

Franco era invece Giuseppe Santomaso. Come Pasi, aveva fatto l'Albania. Ventiquattro anni, era nato in Alpago. Catturato a Paderno, fu torturato alla Tasso. Francesco Bortot era Carnera. Aveva 23 anni, era sto preso con Santomaso a Paderno. Marcello Boni, Nino, era di Perarolo, arrestato a Caralte per una delazione insieme a Renato De Zordo (morto sotto le torture), Giuseppe De Zordo (impiccato in piazza dei Martiri) con la moglie e le sorelle Dina e Iva, e Salvatore Cacciatore (Ciro), anch'egli impiccato in piazza dei Martiri. Piero Bertanza, Portos, 19 anni, operaio di Brescia, era fuggito da un cantiere della Todt (l'organizzazione tedesca di lavoro coatto) con un camion carico di armi che trasportò nel Bellunese. Faceva parte della missione americana del capitano Chappel. Giuseppe Como, Penna, era di Frontin di Trichiana, aveva 20 anni: fu catturato per una spiata. Rampa era Ruggero Fiabane di Valmorel, 28 anni, catturato durante un rastrellamento. Era sposato con due figli. Fu torturato alla Tasso. Di Trichiana era anche Giovanni Cibien, Mino, 20 anni. Anch'egli fu tradito da una spia, che gestiva un'osteria a Frontin. Guido Candeago, Fiore, 23 anni, era di Sedico. Giuseppe Cibien, di Trichiana, 28 anni, era stato arrestato durante un rastrellamento, mentre lavorava il campo. È l'undicesimo morto di quella giornata, fucilato nel cortile della caserma D'Angelo dopo che i tedeschi si erano accorti di aver impiccato per sbaglio un altro Cibien. Infine Joseph: uno sconosciuto soldato francese, aggregato alla brigata Tollot (operava nella zona di Trichiana): stava organizzandosi per rientrare in Francia percorrendo a tappe la strada fino al confine.

In cima alla collina, per il loro incontro con gli alberi, arrivarono a stento per il sentiero dietro la chiesetta di Vezzano. C'è una lapide, in cima, che li ricorda. Solo i nomi, sotto una scritta: "Amarono la libertà più che la vita". Franco (Santomaso) aveva scritto alla fidanzata: "Vorrei essere vicino a te e non lasciarti più, ma purtroppo questo non è possibile perché io ho un dovere da compiere. Lo sai che combatto per una causa giusta, per un'ideale che darà benessere a tutto il popolo. tanti ci chiamano degli esaltati, degli illusi e non capiscono invece che siamo degli italiani che sanno volere i loro diritti". È la rivendicazione di una scelta: di vita e anche di morte.

Parole semplici, quelle della lettera e quelle della lapide. Di solito le lapidi grondano retorica. Parlano di martirio e sacrificio, parole tratte dalla tradizione religiosa. Parlano di calvario, talvolta, e il Bosco delle castagne in realtà a un Calvario assomiglia. Come nel dipinto di Palazzo Piloni a  Belluno, che riproduce quell'episodio. una scala a pioli sulle spalle al posto della croce, una morte come "riscatto", "martiri" cioè testimoni (di una fede, di un ideale). Il linguaggio dell'epoca era così. Eppure su quella lapide non c'è spazio per la retorica, solo per tre parole che, in quel tempo e in quello spazio, assumono valore di assoluta e, appunto, lapidaria concretezza: amore, libertà, vita. È uno sguardo al futuro, non al passato.

Lì si sono incontrati alberi e uomini. Gli alberi, per i bellunesi, sono rimasti a testimoni, ma come colpiti dall'uccello della morte, fulminati da quanto avevano visto. Più che quella lapide, i monumenti sono loro.

 
(Uomini e alberi, Toni Sirena, Cierre edizioni)

venerdì 18 settembre 2009

Prima di venire


Una poesia che negli ultimi mesi ho letto e riletto più volte.
E ogni volta mi sembra di capirla un po' più a fondo.
E ogni volta mi sembra di capire sempre meno.
Ringrazio chi mi ha fatto conoscere questa grande poetessa,
che in pochi versi mi schiude un mondo sempre più esteso.



Prima di venire
portami tre rose rosse
prima di venire
portami un grosso ditale
perché devo ricucirmi il cuore
e portami una lunga pazienza
grande come un telo d'amore

Prima di venire
dai un calcio al muro di fronte
perché lì dentro c'è la spia
che ha guardato in faccia il mio amore

prima di venire
socchiudi piano la porta
e se io sto piangendo
chiama i violini migliori

Prima di venire
dimmi che sei già andato via
perché io mi spaventerei
e prima di andare via
smetti di salutarmi
perché a lungo non vivrei



giovedì 17 settembre 2009

È una fine o un inizio?




You?
You can see now?
Yes, I can see now.

lunedì 14 settembre 2009

Affrettiamoci ad amare gli uomini se ne vanno così presto

Affrettiamoci ad amare gli uomini se ne vanno così presto
e dopo di loro rimangono le scarpe e un telefono muto
solo ciò che importa poco si trascina come una vacca
quello che importa molto avviene all’improvviso
poi un silenzio normale quindi del tutto insopportabile
come una purezza nata semplicemente dalla disperazione
quando pensiamo a qualcuno rimanendo senza di lui

Non essere certo di aver tempo poichè la certezza è incerta
ci toglie la sensibilità così come ogni felicità
arriva simultaneamente come il pathos e l’humor
come due passioni sempre più deboli di una sola
e se ne vanno da qui così veloci tacciono come il tordo in luglio
come un suono un po’ maldestro oppure come un inchino secco
chiudono gli occhi per vedere davvero
nonostante nascere sia un rischio maggiore del morire
amiamo sempre troppo poco e sempre troppo tardi

Non scriverne troppo spesso ma scrivilo una volta per sempre
e sarai come un delfino mite e forte

Affrettiamoci ad amare gli uomini se ne vanno così presto
e quelli che non se ne vanno non sempre ritornano
e parlando dell’amore non si sa mai
se il primo sia l’ultimo o l’ultimo sia il primo

(Jan Twardowski)

sabato 12 settembre 2009

Segnalibro


Preso a caso
.

Caso o necessità?


venerdì 11 settembre 2009

Sogno



 

Nel sogno non è vano cacciare la lepre col bue.

giovedì 10 settembre 2009

Nostalgia




Nostalgia del passato



Nostalgia di quello che avrebbe potuto essere il futuro


mercoledì 9 settembre 2009

Come elefanti in un negozio di cristalli




I must learn to walk on eggshells.


Didala


Partigiana per amore

È un libretto di 100 pagine.
Difficile da reperire fuori dalla Toscana (bisogna richiederlo direttamente all'editore).
Si legge veloce. Ma ti resta dentro.
È la storia di Didala e del suo amore Ciro (detto Chittò), liceale di Viareggio e poi partigiano e poi marito e poi padre e poi trucidato dai nazisti nell'agosto del '44 (il maledetto agosto della strage di Sant'Anna).

Didala continua ancora oggi a lavorare per l'ANPI di Viareggio.
Qui una sua critica intervista del 2008 sul film di Spike Lee. E qui come lei stessa, il 28 agosto di quest'anno, ricorda la morte di Chittò.

Io e Chittò
Da giovanissimi io e Ciro eravamo tutti e due molto timidi. Io, per incontrarlo, andavo tutte le mattine in chiesa.
...


Far l'amore sotto le nocciole
Nelle campagne di Nola c'erano dei campi sterminati di alberi di nocciole, così bassi che i frutti potevano essere raccolti standovi sdraiati sotto. Quando Ciro portava il suo plotone a fare le marce mi chiamava, poi faceva sdraiare i soldati: noi ci mettevano sotto questi alberi e si stava insieme. I soldati quando si accorgevano che c'ero anch'io, erano contenti perché sapevano che avrebbero marciato poco e riposato.

Sant'Anna
...
Infine vedemmo levarsi una nuvola di fumo. Noi pensavamo che avessero bruciato i boschi, ma l'odore non era di legna bruciata; era un'odore acre, non saprei come definirlo. Per molti anni il suo ricordo molto vivo mi ha fatto scappare quando, secondo un'abitudine molto comune, a casa si passava il pollo sul fuoco dopo averlo spennato. Non riuscivo proprio a sopportare quell'odore di carne bruciata.
...
In prossimità del paese, già lungo il viottolo cominciammo a vedere dei cadaveri straziati. Incontrando i primi gruppi di case mi colpirono le finestre aperte. La mia mente è rimasta impressionata da quell'immagine come una lastra fotografica. Le finestre aperte delle case mostravano l'interno tutto annerito: erano simili a bocche senza denti: un'immagine di distruzione.
Quando poi arrivammo in vista del sagrato della chiesa fu ancora più orribile: gli uomin frugavano tra i corpi carbonizzati in cerca di qualche segno dei loro cari. Alcuni piangevano e urlavano come belve ferite.
Quello che vedemmo non è possibile raccontarlo. Io non ci riesco nemmeno ora perché era una scena impossibile da descrivere. So che mi tappai gli occhi per non vedere e piansi quanto è possibile piangere. Io non potevo far nulla...

martedì 8 settembre 2009

Troppi corpi bruciati in questa storia

Qualche mese più tardi, per la precisione era la sera del 16 gennaio del 1969, un giovane studente si avvicinò al monumento del re Santo. Sotto il cappotto nascondeva una tanica di benzina. Se la versò addosso e si diede fuoco con un accendino.
Le fiamme inghiottirono i suoi capelli biondi e la sua esile corporatura da ragazzino.
Si chiamava Jan Palach, quel ragazzino, e bruciò come un bonzo vietnamita.
Il fuoco si portò via la sua vita, ma accese una speranza che sopravvisse per venti anni tondi tondi, fino a che il muro di Berlino, crollando, non fece rotolare i suoi calcinacci fino a Praga.
(Tito Barbini)


Y en a qui meurent bien trop tard
Quand leur paradis est passé
Y en a qui meurent au hasard
D'un coup de dé
Y en a qui meurent sans savoir
Qu'ils ne sont jamais nés vraiment
Y en a qui meurent sans espoir
Et pleins d'argent

Je voudrais mourir dans tes bras [x2]

Y en a qui meurent dans les mémoires
C'est bien plus que perdre la vie
Où ceux qui restent quittent le noir
Et vous oublient
Y en a qui meurent en marchant
Pour aller cacher leur vieillesse
Aux neiges du grand désert blanc
Pleines de promesses

Je voudrais mourir dans tes bras [x2]

Y en a qui meurent parce que c'est beau
De voir le soleil se coucher
Et d'attendre le jour nouveau
De l'autre côté
Y en a qui meurent en dormant
En offrant un sourire aux anges
Y en a qui meurent encore enfants
Et gagnent au change

Je voudrais mourir dans tes bras [x2]

Y en a qui meurent la bouche pleine
En libérant un dernier rot
En se caressant la bedaine
Mais trop c'est trop
Quand d'autres vont le ventre vide
Berçant leur mort à bout de bras
En suivant la main qui les guide
Là où on ne les verra pas

Je voudrais mourir dans tes bras [x2]

Y en a qui meurent par erreur
Pour une poussière sur la balance
Quand la justice a ses rancœurs
Ou ses absences
Y en a qui meurent dans les poubelles
Les bannis de la société
Leur rêve au bout d'une ficelle
Ballon crevé

Je voudrais mourir dans tes bras [x2]

Y en a qui meurent au printemps
Comme des éclairs, comme des flambeaux
Barrant la route un court instant
Aux chars d'assaut
Y en a qui meurent avec permis, matriculé
Comme il se doit

Laissant un casque et un fusil
Sur une croix

Je voudrais mourir dans tes bras [x2]

Y en a qui meurent tous les soirs
Quand le spectacle est terminé
Quand ils retrouvent dans leur miroir
Leur vérité démaquillée
Y en a qui meurent en marguerite
Effeuillée d'une main distraite
Un peu, beaucoup, beaucoup trop vite
Et ça s'arrête !

Je voudrais mourir dans tes bras [x3]
Prends ma main, ne la lâche pas

Quando Jan Palach si decise alla sua protesta estrema, di se stesso volle sottrarre al rogo solo una cosa: i quaderni che lasciò in uno zaino a distanza di sicurezza dalle fiamme.
Tra i suoi appunti ebbe una relativa risonanza questa frase: "Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana".
Ti devo confessare anche questo, Tito. A Jan Palach ci sono arrivato solo per la canzone di uno dei cantautori - così si chiamavano allora, non so ora - che nei miei anni di liceo andava per la maggiore. Parlo di Francesco Guccini.
"Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava all'orizzonte del cielo di Praga...". Così faceva la canzone: e io ci misi un bel po' di tempo prima di scoprire chi era quell'altro Jan di cui Guccini parlava. Jan Hus, cioè il riformatore religioso boemo condannato per eresia e bruciato sul rogo nel 1415.
Paragone calzante fino ad un certo punto: perché quella di Jan Hus fu morte comminata, a fronte di una morte voluta da Jan Palach come uno schiaffo contro l'orrore.
Però sia nell'uno che nell'altro caso le fiamme sono state in effetti appiccicate da un potere violento e incapace di ammettere o anche solo di concepire la libertà di pensiero così come la differenza che la libertà presuppone e alimenta.
Grazie a Guccini - e a Jan Hus - feci mio un nome che la logica degli schieramenti, anche tra ragazzi, mi rendeva più distante.
Erano così, allora, le assemblee a scuola: ognuno a ricordare i propri martiri e a rinfaciarseli. Gli studenti di destra che ricordavano Jan Palach e noi che li rintuzzavamo con Salvador Allende.
Schermaglie di poca sostanza e pochi numeri, oramai: i più se ne fregavano bellamente e alle assemble amazzavano il tempo preparando le interrogazioni. Altri intrecciavano lì le prime storielline d'amore e ancora oggi, solo a ripensarci, riescono a destare la mia invidia: temo, in effetti, che la mia foga per le assemblee avesse un po' più a vedere con la sempiterna storia della volpe e dell'uva.
In ogni caso, pur con qualche imbarazzo, la Primavera di Praga entrò a far parte anche del mio bagaglio di emozioni, prima ancora che di idee, della politica.
(Paolo Ciampi)


Caro Tito, ci pensavo l'altro giorno. Lo sai qual'è una delle poche cose che mi ricordo della guerra in Vietnam, intendo quella "vera"?
Ero un bambino, ma quella sequenza sfuocata, in bianco e nero, trasmessa qualche minuto prima di carosello, mi è rimasta impressa come un marchio a fuoco. E di fuoco appunto si trattava.
Era un bonzo - così si chiamavano i monaci buddisti vietnamiti - che per protestare contro l'occupazione americana si era dato alle fiamme. Se chiudo gli occhi la scena la rivedo tutta: lui seduto nella posizione del loto, testa rasata e sguardo contemplativo, un braccio che come un antico gesto sacerdotale si solleva da sotto la tunica, le fiamme che lo avvolgono e lo consumano.
Ancora oggi mi chiedo come mai la RAI dell'epoca, estremamente attenta a non mostrare certe cose, avesse deciso di trasmettere quelle immagini. Certo, non per solidarietà con le sofferenze dei vietnamiti.
Piuttosto per disattenzione, o forse perché convinta di trovarsi davanti ad un gesto, diciamo così, esotico, una sorta di curiosità antropologica che niente aveva a vedere con quello che davvero succedeva in Vietnam. Chissà.
Di bonzi che si trasformano in torce umane ce ne furono parecchi, in quegli anni. Però pensavo che fosse finita lì.
L'altro giorno, invece, curiosando su internet ho letto di un altro bonzo morto per essersi dato fuoco. Nel 2003, non nel 1966.
Per il suo sacrificio Thich Chan Hy, questo il suo nome, ha scelto un altare all'esterno del suo tempio e ha asciato questo messaggio:
"Desidero che tutti i vietnamiti che vivono in Vietnam e all'estero possano praticare liberamente la loro religione. Desidero che tutti i vietnamiti possano godere dei diritti umani e siano protetti da uno Stato democratico. Desidero che i vietnamiti conservino i diritti sulla loro terra".
Da Jan Palach a Thich Chan Hy: troppi corpi bruciati in questa storia.
(Paolo Ciampi)

sabato 5 settembre 2009

Il cammino delle Dolomiti




Complimenti a maestri e maestre della scuola elementare Mussoi di Belluno.
Per due anni hanno organizzato un percorso didattico in 30 tappe che ha portato bimbi e insegnanti a scoprire la provincia dove vivono.
Ne è uscito un bel libro che raccoglie le impressioni dei bimbi e ci fa (ri)scoprire la cultura della gente di montagna con le sue tradizioni, usi e costumi che non sono ancora andati persi.




La prima fatica del fornaio consisteva nel manipolare con forza, aiutato dai garzoni, la pasta fino a farla diventare morbida e doveva lavorarla a lungo solo con le braccia!
Oggi non è più così, io lo so bene perché il mio papà è fornaio e mi spiega tutto quello che fa, anche se non è più faticoso come una volta, questo lavoro ti fa dormire ad orari strani!
Consiglio questo libro un po' a tutti, ma soprattutto a maestri e maestre per poter interpretare appieno il significato della scuola di autonomia, caratterizzata come scuola di progetto inserita nel territorio.

venerdì 4 settembre 2009

Tu a che puntata sei arrivato?

Storia in più puntate.

1.
Un uomo cammina sul marciapiede
c'è una buca
l'uomo ci cade dentro
l'uomo strilla e strepita per uscire
qualcuno lo aiuta ad uscire.

2.
L' uomo cammina sul marciapiede
c'è una buca
l'uomo ci cade dentro
con grandi sforzi
infine ne esce.

3.
L' uomo cammina sul marciapiede
c'è una buca
l'uomo ci cade dentro
ne esce.

4.
L' uomo cammina sul marciapiede
c'è una buca
l'uomo la evita.

5.
L'uomo cambia strada.

Io sono arrivato alla 2ª.
E tu a che puntata sei arrivato?

mercoledì 2 settembre 2009

Et maintenant


Et maintenant que vais-je faire
De tout ce temps que sera ma vie
De tous ces gens qui m'indiffèrent
Maintenant que tu es partie

Toutes ces nuits, pourquoi pour qui
Et ce matin qui revient pour rien
Ce cœur qui bat, pour qui, pourquoi
Qui bat trop fort, trop fort

Et maintenant que vais-je faire
Vers quel néant glissera ma vie
Tu m'as laissé la terre entière
Mais la terre sans toi c'est petit

Vous, mes amis, soyez gentils
Vous savez bien que l'on n'y peut rien
Même Paris crève d'ennui
Toutes ses rues me tuent

Et maintenant que vais-je faire
Je vais en rire pour ne plus pleurer
Je vais brûler des nuits entières
Au matin je te haïrai

Et puis un soir dans mon miroir
Je verrai bien la fin du chemin
Pas une fleur et pas de pleurs
Au moment de l'adieu

Je n'ai vraiment plus rien à faire
Je n'ai vraiment plus rien ...
(Gilbert Becaud, 1962)

martedì 1 settembre 2009

Poldina se n'è andata

21 agosto 2009. E' scomparsa all'età di 76 anni Leopolda Bartolucci una delle donne superstiti all'eccidio nazi-fascista del 12 agosto 1944 di S. Anna di Stazzema in cui furono trucidati 564 civili. L'Associazione martiri di Sant'Anna e il Comune di Stazzema esprimono profondo cordoglio per la sua scomparsa e partecipano al dolore dei familiari. La Bartolucci non ha voluto mai abbandonare Sant'Anna dedicando la sua vita a trasmettere la memoria del suo paese, raccogliendo e custodendo foto, oggetti, storie e racconti di quel tragico 12 agosto di 65 anni fa quando la donna, allora undicenne, perse il padre. A lei si deve il pannello che ricorda i bambini uccisi a Sant'Anna che tanta emozione suscita nei visitatori della piccola chiesa del paese e la cura della chiesa a cui si è dedicata per tanti anni. A lei si deve anche la conservazione di quei pochi oggetti che si salvarono dal fuoco e dalla distruzione conservati nel museo storico del quale volle inaugurare il nuovo allestimento nel 2007 tagliando il nastro assieme a Milena Bernabò, altra superstite. In tutto sono una quarantina i superstiti dell'eccidio. Nel 1944 avevano sei, sette anni.