domenica 10 luglio 2011

Como el musguito en la piedra, ay si, si, si


Una donna incede fasciata da un abito rosso fiammeggiante (la bellissima Clementine Deluy, che è stata giovanissima étoile dell’Opéra di Marsiglia), e alle sue spalle sta attaccato un vero albero, radicato in lei attraverso uno zaino che ne contiene la base. È l’immagine che potrebbe riassumere uno spettacolo bellissimo e forte, che alterna tenerezza a dolore, sconvolgimento a piacere. È l’ultimo che Pina Bausch ha creato e quasi cesellato, nei mesi precedenti alla sua morte: ha fatto in tempo ad accompagnarne l’anteprima a Wuppertal nella primavera del 2009,ma poi non ha potuto assisterne al debutto nella città che lo aveva ispirato e commissionato, Santiago del Cile.
Como el musguito en la piedra, ay si si si (fino a ieri al Theatre de la ville, per 16 repliche sempre tutte esaurite) è un titolo che nasce dal refrain una canzone popolare,maè già una dichiarazione di scelta esistenziale da parte di un popolo e di un paese che tutto l’ensemble del Tanztheater di Wuppertal aveva cercato di conoscere in profondità, percorrendolo dai deserti del nord fino ai ghiacciai della Terra del Fuoco. «Come il muschio sulla pietra» è descrizione di un rapporto vitale e strettissimo, destinato a ricrearsi all’infinito. E indica una volontà, una costanza, ma anche una capacità di resistenza che i cileni davvero impersonano. Rispetto alla natura, se si pensa ai terremoti e ai traumi cui il loro territorio è frequentemente soggetto,ma anche rispetto alla sua vita politica, con gli orrori che ha dovuto subire dalla dittatura fascista di Pinochet, che pure è stata poi scrollata di dosso per ritornare alla democrazia.
E a livello della creatura umana, possiamo supporre ora che anche Pina Bausch abbia voluto, in quel suo ultimo anno di vita, fare come quel popolo, o come quel muschio che vive di piccole felicità,mentre resiste consapevole alle traversie cui la natura lo condanna. Non sapremomai, come è giusto, se l’artista sapesse nei suoi ultimi mesi di vita, della malattia che l’attraversava minandola. Certo è che nello spettacolo che in quegli stessi mesi ha progettato e fatto crescere, si alternano momenti struggenti e malinconici che sottolineano il lato più oscuro e pesante della vita umana, e altri che sono scoppi di incontenibile vitalità, dove il sorriso pieno sembra appagarsi della propria forza, e dell’eros che attrae e dà vita agli individui.
L’inizio dello spettacolo è duro, più di altre volte. Le danzatrici (come sempre rivestite da Marion Cito di quegli splendidi abiti eleganti che sono una cifra Bausch sul palcoscenico) vengono umiliate e rese vittime dai loro partnermaschili. Usate come bestie da soma o oggetti di uso quotidiano: perché sia ben chiara a tutti la condizione di cieca sopraffazione che è il dato di partenza del racconto. Poi certo scorre la vita, e si ristabiliscono rapporti di più umana uguaglianza, e come sempre saranno le donne, al di là di vendette che sono scherzi crudeli, amostrare di saper governare la situazione. E l’eros può esser metafora dell’intero consorzio umano. I danzatori iniziano il gioco binario delle seduzioni, con gesti che vanno dal corteggiamento sublime all’acqua, che da nutrimento si trasforma in doccia a tradimento. Mentre il respiro dello spettacolo si allarga negli assoli mirabili che spesso prendono il posto delle danze in coppia. Maschi e femmine fanno gruppi separati disponendosi a terra, tutti in fila, stesi, e vivono e trasmettono un risveglio di primavera.
Oltre tutto, la compagnia che dà corpo all’ultima visione di Pina è fatta di giovani e giovanissimi, una nuova leva che si è totalmente rinnovata nel momento che avrebbe potuto segnarne la fine. Unica presenza storica è Dominique Mercy, che danza con Bausch fin dall’inizio, e che ora accentua ancor più la propria essenza di riferimento della memoria (è lui che ha preso la responsabilità artistica del Tanztheater). Perfino le musiche che accompagnano Il muschio sulla pietra sembrano meno aggressive di altre volte, non meno struggenti ma impastate di timbri elegiaci, forse pensieri che si fanno suoni, e danno un groppo al cuore quando si riconosce la voce di Violeta Parra, o di Victor Jara cui Pinochet fece tagliare le mani perché non potesse più esprimersi con la chitarra…
Lo spettacolo insomma non nasconde i riferimenti precisi che devono aver turbato e commosso Pina in Cile, come è successo in altri luoghi del mondo. Eppure, in un linguaggio che resta con perfezione e coerenza il suo, l’artista ci lascia visioni indimenticabili, di un paese, dell’umanità, del suo teatro. Come quella scenografia apparentemente inesistente, firmata come sempre da Peter Pabst, chemostra solo un grande pavimento bianco. Sembra poca cosa rispetto al prato lussureggiante di 1980 o agli infiniti garofani di Nelken. Ma quando quel pavimento impercettibilmente si muove, e vi si aprono crepe sotto i piedi dei danzatori, che poi si ricompongono, ma più tardi si riaprono mute eminacciose, e poi ancora di nuovo, quella scenografia diventa una riflessione universale sulla precarietà della Terra, degna di Lucrezio oppure di Leopardi. C’è la ricorrente debolezza sismica del Cile (si può pensare aiminatori inghiottiti dalla terra e poi riguadagnati dai loro compagni in ascensore individuale), e anche ovviamente gli sfracelli bestiali del golpe militare contro Allende che inghiottì nel buio una generazione e una democrazia. Ma c’è anche l’equilibrio di vite che cercano la bellezza della danza per vincere il limite di natura e paura, l’ignoto e la cecità. E resistono, perché quella danza e quella grazia li porta lontano, li rende in qualche modo immortali. Come il muschio sulla pietra; o come Pina Bausch nel cuore degli spettatori che l’hanno amata.

Gianfranco Capitta




Volver a los diecisiete
después de vivir un siglo
Es como descifrar signos sin ser sabio competente,
Volver a ser de repente tan frágil como un segundo
Volver a sentir profundo como un niño frente a dios
Eso es lo que siento yo en este instante fecundo.

Se va enredando, enredando
Como en el muro la hiedra
Y va brotando, brotando
Como el musguito en la piedra
Como el musguito en la piedra, ay si, si, si.

Mi paso retrocedido cuando el de usted es avance
El arca de las alianzas ha penetrado en mi nido
Con todo su colorido se ha paseado por mis venas
Y hasta la dura cadena con que nos ata el destino
Es como un diamante fino que alumbra mi alma serena.

Se va enredando, enredando
Como en el muro la hiedra
Y va brotando, brotando
Como el musguito en la piedra
Como el musguito en la piedra, ay si, si, si.

Lo que puede el sentimiento no lo ha podido el saber
Ni el más claro proceder, ni el más ancho pensamiento
Todo lo cambia al momento cual mago condescendiente
Nos aleja dulcemente de rencores y violencias
Solo el amor con su ciencia nos vuelve tan inocentes.

Se va enredando, enredando
Como en el muro la hiedra
Y va brotando, brotando
Como el musguito en la piedra
Como el musguito en la piedra, ay si, si, si.

El amor es torbellino de pureza original
Hasta el feroz animal susurra su dulce trino
Detiene a los peregrinos, libera a los prisioneros,
El amor con sus esmeros al viejo lo vuelve niño
Y al malo sólo el cariño lo vuelve puro y sincero.

Se va enredando, enredando
Como en el muro la hiedra
Y va brotando, brotando
Como el musguito en la piedra
Como el musguito en la piedra, ay si, si, si.

De par en par la ventana se abrió como por encanto
Entró el amor con su manto como una tibia mañana
Al son de su bella diana hizo brotar el jazmín
Colando cual serafín al cielo le puso aretes
Mis años en diecisiete los convirtió el querubín

Violeta Parra
 


Mi sarebbe piaciuto assistere, con la mia amica, alla performance parigina.

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