giovedì 8 novembre 2012

Devo trovare il modo di andare a vederlo



All’ultima Mostra del cinema (era inserito nella sezione fuori concorso) è sembrato un’apparizione nella laguna, il vascello fantasma di Daniele Vicari, La nave dolce, dolce come lo zucchero a bordo del mercantile che l’8 agosto 1991 scaricò nel porto di Bari una folla festosa di albanesi, «turisti» che lasciarono case, spiagge, fabbriche per correre verso il porto di Durazzo e salire sulla Vlora. Il documentario, che arriva ora in sala (passaggio abbastanza raro sul nostro mercato) è un thriller denso di emozioni nella ricostruzione dell’avvenimento che anticipò gli sbarchi sulle coste italiane, prima grande prova dei respingimenti di massa, e che ci mostra un «clandestino» gioiosamente accalcato sull’imbarcazione, fin sopra i pennoni, ragazzi perlopiù in costume da bagno, urlanti «Viva l’Italia», spinti dall’idea di libertà e di un paese conosciuto sugli schermi tv. 

Vicari intercala le immagini dell’epoca con le testimonianze di alcuni di loro che sfuggirono al rimpatrio forzato, e che ci raccontano come i ventimila (ma nessuno li contò) viaggiarono stretti l’uno all’altro, cibandosi solo di zucchero, erano partiti all’improvviso senza portare nulla con sé. Immagini bibliche, una massa di corpi esultanti che si tuffano in mare per raggiungere la banchina, e che vengono accolti con stupore dai baresi. Primi soccorsi, acqua, molti si fingono malati per sfuggire alla calca e al sole che batte infernale, qualcuno ritrova amici e fratelli. 

E poi la deportazione nello stadio della città, dove gruppi di violenti sequestrano il cibo lanciato sulla folla, impossibile distribuirlo diversamente, e l’atmosfera che si fa cupa, alcuni sfonderanno le porte e fuggiranno. Nel racconto di un «sopravvissuto», c’è un poliziotto che piange a sentire la storia del piccolo albanese in cerca di lavoro e di libertà. Il sindaco di Bari è contrario al trasferimento nello stadio e propone una tendopoli sul molo, ma dal ministero arriva l’ordine di spazzarli via, di sequestrare i 20mila, di ricacciarli indietro. La dolce nave diventa così uno struggente poema per immagini e parole, fotogrammi di un reale che ci perseguita, soprattutto nell’incursione in scena dell’allora presidente della repubblica, Francesco Cossiga, che in un scena da film horror si scaglia contro il sindaco di Bari, il disumano e l’umano, e lo minaccia di ritorsioni perché ha accolto quei ragazzi, i nostri vicini, i fratelli dell’altra sponda. Sarà difficile trovare un’inquadratura più crudele e insostenibile.

(Mariuccia Ciotta)

2 commenti:

  1. Risposte
    1. Anche io visto ieri.
      Mi è proprio piaciuto.
      Più "documentario" rispetto a "Diaz" ma proprio ben fatto.
      Non ricordavo quanto fosse stronzo il Presidente della Repubblica di allora.

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