giovedì 3 giugno 2010

Stella

Profumo. Era quello, il suo profumo, che si era diffuso nella grande sala di milonga ancora prima che Lei facesse il suo ingresso, con quell'incedere deciso e, al contempo, elegante e sensuale. Eterea come un fantasma.

Ero seduto al solito tavolo, col solito bicchiere di rum che gingillavo tra le mie dita, col solito sguardo rivolto alle coppie dei ballerini di tango, e con la mente persa, come sempre, nel ricordo del passato, con il solo scopo di far scivolare su di me, indenni, le lunghe ore del fine settimana.

No, non sono mai stato un vero tanguero, sì insomma un grande ballerino di tango, ma devo ammettere che quella musica sincopata, a volte dolce, a volte lenta, mi ha sempre attratto; l'ho sempre paragonata alla vita, al cammino che facciamo: brevi passi, decisi, aggiungendo quel pizzico di fantasia e di improvvisazione che ci distingue dagli altri animali che passeggiano sulla terra. E in tutto questo, ovviamente. dobbiamo essere accoppiati alla nostra compagna, la nostra ballerina, che ci segue fiduciosa, senza preoccuparsi di guardare dove la stiamo portando, ma con la consapevolezza di vedere attraverso il suo ballerino.

E la mia ballerina era riuscita a farmi danzare, era riuscita a farmi innamorare di lei e del tango. Pensare che conoscevo solo il suo nome, Stella. Eppure per tanti mesi avevamo "camminato"assieme nelle sale di milonga. Poi, improvvisamente era scomparsa. Era trascorso già un anno da quel momento e io continuavo a frequentare quei posti, i nostri luoghi, nella speranza, sempre più vana, di ritrovare la mia Stella, con la mente rivolta al ricordo di attimi che si erano ormai impressi nella mia anima.

Poi quella sera quel profumo era penetrato con violenza nelle mie narici e aveva raggiunto il centro dei miei pensieri, scuotendomi da quel perenne torpore notturno, Avevo sollevato lo sguardo cercando di scoprire da dove provenisse, ma invano. Poi finalmente ecco una figura femminile entrare nella grande stanza come una regina entra nella sala del trono, il suo trono.

No, purtroppo non era la mia Stella.

Questa donna era più alta, i capelli lunghi e lisci le scendevano sulle larghe spalle. Un abito bianco, lungo, aderente, che metteva in evidenza un corpo perfetto. Quasi ipnotizzato mi alzai, camminando lentamente lungo il bordo della pista di milonga, con lo sguardo fisso su quel viso, che si trovava ancora in ombra nella soffusa luce della sala. Come mi aveva insegnato, tanto tempo prima, Mauritio Moreno, il mio vecchio Maestro di tango argentino, la invitai a danzare, ma senza pronunciare alcuna parola, solamente con l'espressione degli occhi, con i movimenti calibrati e studiati del mio corpo. Lei accettò avvicinandosi a piccoli passi, già al ritmo di quel magico... un, dos, tres... quatro...

La mia mano sinistra si sollevò e la sua mano destra le si strinse attorno. Il mio braccio destro la cinse alla vita, sentre il suo braccio sinistro si alzò lentamente in alto, per poi ricadere con sensualità sulla mia spalla destra. Eravamo con i talloni sollevati e i nostri corpi si avvicinavano uno verso l'altro, quasi a formare un magico triangolo. L'abbraccio! L'abbraccio del tango! Un attimo eterno in cui due corpi distinti si fondono, due anime si uniscono. Quasi istantaneamente, con un tempismo assoluto, le prime note del mio brano preferito "Recuerdo", del grande Osvaldo Pugliese, iniziarono a volteggiare nell'aria. Quell'attacco musicale perfetto che sembra riprendere un discorso lasciato in sospeso.

Iniziammo a danzare, senza una parola. Nessuna parola è necessaria in un'estasi.

Il contatto dei corpi, l'odore dei profumi e della pelle, lo sguardo che affoga in due grandi occhi neri e profondi; ebbi un'erezione. Nella mia mente le posizioni del kamasutra erano sostituite da "ocho", "salida", "barrida", "crusada", "planeo", "calesita", le sequenze dei passi, improvvisati, del tango argentino.

Poco più di tre minuti, il tempo che la musica terminasse così,  all'istante come era iniziata, ed ero di nuovo un uomo innamorato. Come già era successo con la mia Stella, ormai scomparsa chissà dove.

Appena il tempo di sfiorarle dolcemente con le labbra il dorso della mano, ringraziandola per quella danza e già stava uscendo dalla sala, seguita da quel profumo che poco prima l'aveva preannunciata.

Ma non potevo permettere che se andasse senza neppure una parola, non potevo permettermi che scomparisse come era successo con Stella. Ero deciso. La seguii, incurante del freddo della notte, contravvenendo alla prima regola del tango: un ballerino non segue mai la ballerina.

Lei camminava per strada allo stesso modo di come aveva camminato nella sala di milonga. La seguivo senza neppure capire esattamente dove stesse andando. Non riconoscevo quei vicoli, mi limitavo a starle a una certa distanza, senza però perderla di vista. Eccola svoltare a destra all'angolo di antico palazzo. Seguire il fianco di un alto muro e quindi entrare decisa in una piccola porticina laterale che, dal rumore, sembrava essere di metallo.

Mi fermo... indeciso.

Adesso sarebbe il momento di accendere una sigaretta, lasciare trascorrere il tempo necessario affinché il fuoco bruci il tabacco, trasformandolo in fumo, meditando sul da farsi, ma purtroppo non ho mai fumato. Non mi resta che entrare. Spalanco la porta di metallo, rivelatosi in realtà un piccolo cancello di ferro, e mi blocco allibito, con l'aria gelida della notte che mi penetra nella gola, ghiacciandomi i polmoni. Sono in un cimitero! Perché?! Perché Lei è entrata in un cimitero?! Poi davanti a me, mentre una lacrima scivola densa e calda sul mio volto, leggo distintamente le lettere scolpite sul candido marmo di una semplice lapide: S T E L L A.





Dovrei dire qualcosa dei racconti di Giovanni.
Dovrei dire di come questo libro sia collegato al precedente (ne ho discusso qui) attraverso il filo di continuità del racconto Nettuno.
Dovrei dire di come sono deliziosi questi micro-racconti che spiraleggiano tutti (Spirali Alchemiche è il titolo del libro) verso finali inattesi eppure aspettati, voluti, desiderati.
Invece, complici anche le foto presenti nel libro, mi sento trasportato all'anno scorso. Molte delle foto di Giovanni che appaiono nel libro sono della sua terra, della Versilia e di Pietrasanta in particolare.
L'anno scorso sono stato tre volte a PietraSanta, con due diverse donne, tutte con uno stesso cognome. E anche qui i numeri alchemici... (il libro di Giovanni ha 9 racconti, ma il sommario ne ha perso uno... il caso? nulla succede per caso!)
Pietrasanta è uno stupendo borgo della Versilia, chiamato anche Piccola Atene per la sua frequentazione artistica internazionale. Ricordo di aver visto opere di Botero, Mitoraj e altri. Per completare la sequenza 3, 2, 1 dovrei tornare a Pietrasanta da solo. Ma ne vale la pena? Soffocato dai ricordi o liberato dai ricordi? Per trovare o per perdere la mia Stella.



Alla donna,
la mia musa ispiratrice.




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