Si parla molto di perdono, soprattutto in ambito spirituale, ma c’è molta confusione riguardo a questo. Che cos’è il perdono veramente?
La vecchia concezione del perdono ci ha insegnato che è l’atto di magnanimità verso qualcun altro da cui si ritiene di aver subito un torto: io ti disapprovo, ti condanno e poi, se sono bravo, ti perdono. Crediamo che il perdono ‘sollevi’ l’altra persona dalle sue colpe. Ma il vero senso del perdono non è questo. Il perdono non ha nulla a che fare con l’altra persona: ha a che fare con noi stessi.
Perdonare significa lasciar andare il passato per poterci dedicare completamente al presente. Significa vivere pienamente il qui e ora. Se non siamo stati capaci di perdonare situazioni o persone del passato, una parte di noi vive ancora imprigionata in quel passato, anche se quelle persone non le abbiamo più viste e quelle situazioni non si sono più verificate. La nostra amarezza per l’accaduto ci accompagnerà per sempre, condizionando la nostra vita presente.
Perdonare significa voltare pagina, non per far star meglio l’altra persona, ma per poter recuperare la nostra energia bloccata (sotto forma di risentimenti, rancori, rimpianti, rabbia, frustrazione, ecc.) e procedere per la nostra strada senza i pesanti fardelli emozionali che il non-perdono comporta. E non commettiamo l'errore di credere che, nel nostro caso, il non-perdono non ci danneggi: se ripensando a quella persona o a quella situazione proviamo una qualche forma di disagio, fosse anche un leggero fastidio, questo significa che quelle emozioni sono ancora dentro di noi e stanno drenando la nostra energia.
C'è poi un altro aspetto che non possiamo ignorare: dietro il non-perdono c’è sempre un’accusa silenziosa che rivolgiamo contro noi stessi. Sempre. Quest’accusa è molto sottile ed è la più difficile da scovare, ma è anche la vera causa (forse l’unica) della nostra sofferenza.
Se ad esempio non perdono qualcuno perché mi ha maltrattato, potrei non perdonare me stesso per averglielo permesso. Se condanno qualcun altro perché ha fatto soffrire una persona a me cara, potrei essere arrabbiato con me stesso perché non sono riuscito a proteggerla come avrei voluto. Se sono furioso con la mia azienda perché mi ha licenziato, potrei essere altrettanto furioso con me stesso per non avere fatto abbastanza per impedirlo. Se odio il mio coniuge per avermi abbandonato e non lo voglio perdonare, è possibile che dentro di me ci sia un’altrettanto potente condanna per non aver compreso in tempo le sue intenzioni, ecc.
Rintracciare la ‘colpa’ che riteniamo di aver avuto, dietro le apparenze, è anche il solo modo per poter perdonare veramente. Il vero perdono, quello più profondo, è quello verso noi stessi, perdonare gli altri è solo il primo passo. Quasi sempre il reale destinatario del nostro odio è molto più vicino di quanto pensiamo: siamo noi.
Perdonare, allora, significa anche saper essere compassionevoli verso noi stessi, sapere che in ogni momento della nostra vita abbiamo fatto del nostro meglio, e che la nostra consapevolezza di quel momento non ci avrebbe permesso di agire altrimenti; perdonare significa accettare di aver avuto delle fragilità, di aver commesso degli errori, insomma, di essere 'umani'.
L’obiettivo che ci diamo dunque questo mese è quello di ricercare la silenziosa accusa che rivolgiamo verso noi stessi nascosta dietro il mancato perdono verso qualcun altro. Di che cosa silenziosamente ci incolpiamo? Ricordiamo che l’accusa verso noi stessi, dal punto di vista razionale, può essere totalmente infondata, quindi non dobbiamo ricercare una coerenza, ma solo prendere contatto con i nostri sentimenti profondi.
La domanda che ci possiamo porre è: in questa situazione se ci fosse un’accusa che rivolgo a me stesso, quale sarebbe? Non accontentiamoci di una prima risposta sbrigativa nella quale noi ci tiriamo fuori da ogni responsabilità, perché spesso a livello profondo non la pensiamo così.
L’esercizio della compassione, cioè della comprensione amorevole, priva di giudizio, dunque, è il primo passo che possiamo compiere verso la libertà: la libertà di procedere oltre nella nostra vita, senza le catene del passato.
Attenzione anche a non cadere nel tranello di pensare che se poi mi perdono allora posso compiere ogni sorta di nefandezza. Questa è una paura totalmente infondata. Il perdono è un superamento della situazione, mai uno sconto della pena, un ‘farla franca’. Sono veramente in grado di perdonare me stesso e gli altri solo quando ho compreso i miei e gli altrui errori e sono andato consapevolmente oltre.
Il perdono è come gli stivali delle sette leghe, ci permette di compiere passi enormi, perché finalmente privi di quei pesanti fardelli emozionali che ci portiamo sulle spalle, e privi anche di quegli invisibili lacci che ci tengono legati al passato. E ricordiamo che, come afferma Gandhi, il perdono non è certo un atto di debolezza, poiché solo i forti sono in grado di perdonare. E ci vuole una grande consapevolezza per poterlo fare con il cuore.
La vecchia concezione del perdono ci ha insegnato che è l’atto di magnanimità verso qualcun altro da cui si ritiene di aver subito un torto: io ti disapprovo, ti condanno e poi, se sono bravo, ti perdono. Crediamo che il perdono ‘sollevi’ l’altra persona dalle sue colpe. Ma il vero senso del perdono non è questo. Il perdono non ha nulla a che fare con l’altra persona: ha a che fare con noi stessi.
Perdonare significa lasciar andare il passato per poterci dedicare completamente al presente. Significa vivere pienamente il qui e ora. Se non siamo stati capaci di perdonare situazioni o persone del passato, una parte di noi vive ancora imprigionata in quel passato, anche se quelle persone non le abbiamo più viste e quelle situazioni non si sono più verificate. La nostra amarezza per l’accaduto ci accompagnerà per sempre, condizionando la nostra vita presente.
Perdonare significa voltare pagina, non per far star meglio l’altra persona, ma per poter recuperare la nostra energia bloccata (sotto forma di risentimenti, rancori, rimpianti, rabbia, frustrazione, ecc.) e procedere per la nostra strada senza i pesanti fardelli emozionali che il non-perdono comporta. E non commettiamo l'errore di credere che, nel nostro caso, il non-perdono non ci danneggi: se ripensando a quella persona o a quella situazione proviamo una qualche forma di disagio, fosse anche un leggero fastidio, questo significa che quelle emozioni sono ancora dentro di noi e stanno drenando la nostra energia.
C'è poi un altro aspetto che non possiamo ignorare: dietro il non-perdono c’è sempre un’accusa silenziosa che rivolgiamo contro noi stessi. Sempre. Quest’accusa è molto sottile ed è la più difficile da scovare, ma è anche la vera causa (forse l’unica) della nostra sofferenza.
Se ad esempio non perdono qualcuno perché mi ha maltrattato, potrei non perdonare me stesso per averglielo permesso. Se condanno qualcun altro perché ha fatto soffrire una persona a me cara, potrei essere arrabbiato con me stesso perché non sono riuscito a proteggerla come avrei voluto. Se sono furioso con la mia azienda perché mi ha licenziato, potrei essere altrettanto furioso con me stesso per non avere fatto abbastanza per impedirlo. Se odio il mio coniuge per avermi abbandonato e non lo voglio perdonare, è possibile che dentro di me ci sia un’altrettanto potente condanna per non aver compreso in tempo le sue intenzioni, ecc.
Rintracciare la ‘colpa’ che riteniamo di aver avuto, dietro le apparenze, è anche il solo modo per poter perdonare veramente. Il vero perdono, quello più profondo, è quello verso noi stessi, perdonare gli altri è solo il primo passo. Quasi sempre il reale destinatario del nostro odio è molto più vicino di quanto pensiamo: siamo noi.
Perdonare, allora, significa anche saper essere compassionevoli verso noi stessi, sapere che in ogni momento della nostra vita abbiamo fatto del nostro meglio, e che la nostra consapevolezza di quel momento non ci avrebbe permesso di agire altrimenti; perdonare significa accettare di aver avuto delle fragilità, di aver commesso degli errori, insomma, di essere 'umani'.
L’obiettivo che ci diamo dunque questo mese è quello di ricercare la silenziosa accusa che rivolgiamo verso noi stessi nascosta dietro il mancato perdono verso qualcun altro. Di che cosa silenziosamente ci incolpiamo? Ricordiamo che l’accusa verso noi stessi, dal punto di vista razionale, può essere totalmente infondata, quindi non dobbiamo ricercare una coerenza, ma solo prendere contatto con i nostri sentimenti profondi.
La domanda che ci possiamo porre è: in questa situazione se ci fosse un’accusa che rivolgo a me stesso, quale sarebbe? Non accontentiamoci di una prima risposta sbrigativa nella quale noi ci tiriamo fuori da ogni responsabilità, perché spesso a livello profondo non la pensiamo così.
L’esercizio della compassione, cioè della comprensione amorevole, priva di giudizio, dunque, è il primo passo che possiamo compiere verso la libertà: la libertà di procedere oltre nella nostra vita, senza le catene del passato.
Attenzione anche a non cadere nel tranello di pensare che se poi mi perdono allora posso compiere ogni sorta di nefandezza. Questa è una paura totalmente infondata. Il perdono è un superamento della situazione, mai uno sconto della pena, un ‘farla franca’. Sono veramente in grado di perdonare me stesso e gli altri solo quando ho compreso i miei e gli altrui errori e sono andato consapevolmente oltre.
Il perdono è come gli stivali delle sette leghe, ci permette di compiere passi enormi, perché finalmente privi di quei pesanti fardelli emozionali che ci portiamo sulle spalle, e privi anche di quegli invisibili lacci che ci tengono legati al passato. E ricordiamo che, come afferma Gandhi, il perdono non è certo un atto di debolezza, poiché solo i forti sono in grado di perdonare. E ci vuole una grande consapevolezza per poterlo fare con il cuore.
(Gabriella d'Albertas)
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