lunedì 3 settembre 2012

San Francisco

Oggi nella buca delle lettere ho trovato l'ultimo numero di Touring. Tra i vari articoli mi è piaciuto veramente tanto quello di Emanuele Bevilacqua su San Francisco. Mi ha fatto venire una grande voglia di andarci (di ritornarci).



La mia prima volta a San Francisco è stata nel settembre del 1975, il presidente Nixon era stato sostituito da Ford, ma la guerra in Vietnam non era ancora finita. E la prima cosa che ho visto è stato il buio del parco più bello del mondo, il Golden Gate Park. Vi si svolgeva un concerto che è rimasto nel cuore rock di quella generazione. I Grateful Dead di Jerry Garcia e i Jefferson Starship della grande Grace Slick tornavano in città per uno spettacolo gratuito, dopo anni di incertezze, follie e droga che li avevano allontanati dai loro fan.
Al Golden Gate Park c’erano oltre 50mila persone. Partito da Los Angeles, arrivai tardi con i miei amici. Sfiorammo un milione di corpi, chiedemmo centomila volte scusa. Avevamo un pass per fotografare il concerto. Dopo un tempo che mi parve eterno, i Jefferson già cantavano Miracles («tu credi nei miracoli bambina?»), riuscimmo a raggiungere il palco. Presi posto accanto a Paul Kantner, il chitarrista della band, con la mia Pentax che oggi sarebbe un cimelio. Quella sera ho consumato decine di rullini, guardato negli occhi Grace Slick e fatto cadere da un amplificatore sua figlia China. Il mattino dopo ho giocato a ping pong con Jerry Garcia. Per i reduci del rock è come dire di aver fatto jogging con Obama.
Ho poi abitato, studiato, lavorato, giocato e sognato a San Francisco. Ma non posso dire di conoscerla. Quel che ti insegna è che la sua scoperta non finisce mai. Siamo nella città più affascinante del mondo perché cambia ogni volta e devi proprio fermarti a guardare la Coit Tower e la celebrazione dei suoi eroici pompieri, per essere ben certo di essere qui. È una città che rende felici ed è piena di posti che fanno star bene. Ma è in continua mutazione.

Letteratura e tecnologia qui procedono di pari passo. Anzi, danzano insieme da decenni. Questa è la città che ha accolto gli eroi della Beat Generation: Allen Ginsberg, Jack Kerouac e Lawrence Ferlinghetti, che a 93 anni ancora dirige la sua libreria/casa editrice City Lights Books. Da qualche anno un giovane scrittore, Dave Eggers, ha inventato una nuova utopia letteraria, la rivista e casa editrice McSweeney’s. Qui collaborano i migliori talenti letterari degli Usa e gli autori si danno il turno nel pomeriggio nel quartiere generale, Valencia 826, per aiutare i ragazzini ispanici a fare i compiti.
Non è possibile immaginare altro luogo che possa aver ispirato Steve Jobs e la sua Apple negli anni Ottanta. Solo ieri, o al massimo l’altro ieri, Facebook, Twitter sono nate da queste parti, i suoi ispiratori hanno respirato quell’aria fatta di nebbia, oceano, misticismo zen, rock e «Yes we can» che fa di questa baia un posto unico al mondo. Tutto questo si avverte molto bene girando per le strade, basta armarsi un po’ di curiosità. A San Francisco se si incrocia il proprio sguardo con uno sconosciuto è normale che l’altro sorrida e vi saluti. Da noi succede solo d’estate in alta quota sulle Dolomiti, quando ci si incrocia sui sentieri delle passeggiate. A San Francisco succede tutti i giorni dell’anno.

Mi piace arrivare a San Francisco il sabato sera. Da alcuni anni non vado più in albergo, ma ce ne sono di eccellenti. Uno dei miei preferiti è il Washington Square Inn. È piccolo, ma a San Francisco non ci si va tutti i giorni e quindi basta prenotare per tempo per trovare posto. C’è anche lo Stanyan Park Hotel, vicino al Golden Gate Park, ma adoro stare a North Beach, il quartiere italiano, sebbene sia pieno di posti turistici da evitare. Ora affitto case attraverso il sito www.vrbo.com. Dopo anni che lo faccio, vado ormai sempre negli stessi due o tre appartamenti, ho fatto amicizia con i proprietari.
Arrivo in volo da Londra, bagagli a mano e poche formalità alla dogana. Siamo in California. Niente taxi o bus. Qui c’è il Bart, che non ha nulla a che vedere con i Simpson. È il treno metropolitano Bay Area Rapid Transport, e tutti lo amano anche se non ha nulla di speciale. Lo usano uomini d’affari, studenti per andare a Berkeley, viaggiatori per andare e tornare dalla città. Poche fermate e si è nel cuore di San Francisco. Carico lo zaino sulle spalle e affronto Colombus Avenue, la diagonale che porta a North Beach. Il peso si fa sentire, ma ho bisogno di percorrere questa strada a piedi, dal Transamerica Building, simbolo del quartiere degli affari fino ai locali cinesi che costeggiano il quartiere italiano.
Più in su c’è la libreria di Ferlinghetti e poi continuando a salire tutto si mescola, la Wells Fargo Bank, con le scritte in cinese e una montagna di posti acchiappa turisti, ma c’è anche il mitico Saloon, il locale perfetto (www.sfblues.net). È silenzioso e anonimo fino alle dieci di sera, poi si accende all’improvviso. Arrivano dalla notte protagonisti di vari pianeti. Il Saloon è il bar di Star Wars, esseri diversi a contatto di gomito, pronti ad alzare i gomiti. E arriva la musica fra quelle pareti, nell’attesa che l’alba svuoti il bicchiere, il locale, la strada. Al Saloon si va per bere una birra e sentire improbabili band di rock blues formate da ultrasessantenni sovrappeso, ma non sono mai uscito deluso una sola volta. E il pubblico, giovani, giovanissimi e coetanei dei musicisti, si diverte moltissimo. Non si vede un turista dentro, perché la fauna del locale appare inquietante. La pelle invece si rischia se si mangia nei tanti ristoranti della zona. Difficile trovare quello giusto.

Poso il bagaglio a casa e rifaccio la strada contraria fino a Union Square, regno dello shopping della città. Poco distante, al 20 di Cosmo Place, c’è un magnifico ristorante franco-vietnamita, si chiama Le Colonial (www.lecolonialsf.com). E il mio tavolo è prenotato da tempo attraverso il sito Open Table (www.opentable.com): in città non è facile trovare posto. È addirittura impossibile nei weekend. Il cibo è eccellente e, se si è fortunati, il posto è anche tranquillo. Chi vive a San Francisco ama la tavola ed è mediamente educato. Dopo un po’ di drink il clima si scalda, il volume delle voci sale di molti decibel. Se poi notano che sei solo, pensano che ti annoi e tendono a coinvolgerti. Il colmo è capitato una sera quando una ragazza in abito da sposa mi ha invitato a salire sulla sua limousine con le amiche per festeggiare l’ultima notte da single prima del matrimonio. Era simpatica, ma non vado in giro di notte con delle ragazze scatenate. Non ho più l’età.
Un episodio che rende bene l’idea di che cosa accade a San Francisco. La «Summer of love» degli anni Sessanta non è ancora del tutto finita. Non è un caso che buona parte della popolazione sia formata da gay. In questa città si respira un clima di uguaglianza e serenità che permette a chiunque di condurre la propria vita senza pregiudizi.

Il clima è tranquillo, ma è una conquista, non sempre è stato così, basta scorrere le cronache o ricordare film come Milk (2008), con Sean Penn e diretto da Gus Van Sant, sulla vita di Harvey Milk, primo gay dichiarato a essere eletto a una carica politica e assassinato nel 1978, per averne conferma.
La domenica mattina ci si alza presto perché bisogna correre da Mama’s (www.mamas-sf.com) per fare colazione. È un ristorante proprio all’angolo fra Stockton e Washington Square. Ci si mette in fila con il San Francisco Chronicle in mano e si aspetta il proprio turno per entrare. Intanto si possono osservare decine di cinesi che fanno ginnastica in piazza. Non importa se mangiate un dungeness crab benedict o pancakes con la marmellata fatta in casa, qui la materia prima è eccellente e i ragazzi che servono ai tavoli gentili e sorridenti. Le ricette sono quelle di Mama Sanchez anche se oggi sono i giovani Felicia e Mikey a mandare avanti il ristorante. Non c’è domenica senza Mama’s, non per me almeno.
A quel punto prendo un taxi e vado al Golden Gate Park, a Stanyan Street, dove ci sono un paio di negozi che affittano bici. Prendo la mia e mi lancio a capofitto nel parco. È ancora presto e non è affollato, si va giù, per tutta la lunghezza del parco, fino all’oceano Pacifico, si passa davanti ai due mulini a vento regalo della regina Guglielmina d’Olanda. Andar giù fino all’oceano è un gioco da ragazzi, è tutta discesa, il bello è tornare indietro. Ecco perché una sosta di meditazione a guardare il mare è consigliabile, come pure uno studio degli scogli al largo dove giacciono pigri i leoni marini. Sulla destra c’è la Cliff House, un poco turistica, ma divertente per prendere un drink mentre le onde schizzano un po’ ovunque.

Al ritorno la salita è faticosa, ma ci sono un mucchio di cose da fare. Un salto al Conservatorium, serra di vetro e metallo verniciato di bianco che contiene le piante più esotiche, una visita al de Young Museum, capolavoro degli architetti Herzog & de Meuron: c’è sempre una mostra che vale la pena di vedere. Proprio di fronte c’è il nuovo museo delle Scienze, progettato da Renzo Piano. Accanto lo strepitoso Japanese Tea Garden, tempio della cultura giapponese in città. A poche decine di metri, alle spalle del complesso del de Young Museum, ogni domenica si tengono lezioni di ballo. Dalle 11 alle 14 un gruppo di aspiranti ballerini si scatena ai ritmi più diversi. Esilarante. Provare per credere.

Girando per alcuni quartieri di San Francisco si può avere l’impressione di stare a Londra, ma uno dei segreti della città è quello di aver saputo mescolare molti elementi in apparenza incompatibili fra loro. Fra questi il sapore dell’Europa, le radici americane e l’Oriente. Non è che l’inizio di una scoperta, una volta restituita la bicicletta ci si può addentrare a Haight-Ashbury, luogo della controcultura di San Francisco. Era il quartiere degli hippy e ancora, dai negozietti ai locali, si respira quell’aria. C’è ancora chi porta i capelli lunghi, barba, baffi. Le donne lasciano crescere i capelli e non disdegnano ancora, nell’abbigliamento, qualche decorazione floreale. Mi fermo talvolta a prendere un hamburger da Cha cha cha. È proprio sulla strada a pochi passi dal parco, ma dentro l’atmosfera da figli dei fiori si attenua, qui ci sono anche tante famiglie che consumano il brunch domenicale. È un posto semplice, ma tutto funziona alla perfezione.

Un’altra cosa che amo fare è andare a sentire musica la sera. amo il jazz, ma anche la classica e il rock. San Francisco ha una buona stagione jazzistica e numerosi club. Soprattutto ha un locale che dedica al jazz ogni singola serata, anzi è un locale doppio, con sede sia in città che nella vicina Oakland, si chiama Yoshi’s (www.yoshis.com). È un club e ristorante giapponese, così si ascolta musica e si cena sushi. Per la classica c’è la sorprendente struttura semicircolare della San Francisco Symphony (www.sfsymphony.org), con concerti di altissimo livello. A settembre Semyon Bychkov dirige Çajkovskij e Shostacovic. Ad agosto ha tenuto banco un omaggio ai Beatles con il Classical Mystery Tour. Ma quello che è interessante è come si consuma la musica. La sala antistante alla Concert Hall ha una parete di vetro che offre una vista su Van Ness Avenue, sulla City Hall, il Municipio e gli altri edifici. Da un lato si trova il bar con numerosi tavolini. È possibile prendere un drink o anche mangiare qualcosa al volo in attesa che arrivi l’ora per il concerto. L’atmosfera è rilassata e informale, così pure l’abbigliamento. Non si viene per essere visti, ma per ascoltare musica di qualità.

Quando sono a San Francisco il mio amico Aldo Blasi, che vive da 40 anni in città e gestisce uno dei migliori ristoranti italiani, il Milano, mi porta ogni volta in un club diverso. Uno è Bimbo ed è proprio su Columbus Avenue, bello. Ma qualche mese fa abbiamo veramente raggiunto il massimo. Io avevo prenotato un biglietto per la Symphony quando Aldo mi informa che ha due biglietti per i Social Distortion, gruppo punk californiano sopravvissuto a molte ere glaciali. E il concerto è al Fox Theatre, Oakland, dall’altra parte della baia. Ho ascoltato il primo tempo del concerto, dopodiché Blasi mi aspettava per andare a Oakland. Si può fare anche questo in California. Ascoltare Mahler alla Filarmonica e mezz’ora dopo saltare insieme a un gruppo di punk a Oakland. Non è che un frammento di weekend a San Francisco. Dal lunedì si lavora, ma la città è lì a disposizione, piena di occasioni: il Sf Moma, Sausalito, Lombard, Market, Castro e Soma. A voi la scoperta.
(Emanuele Bevilacqua)

1 commento:

  1. Ci sono stato nel '96, Twin Peaks! E F. ha in piano di andarci il mese prossimo, ne abbiamo appena parlato ed ora leggo 'sto pezzo, just in time, just in space. Coincidenze: quindi ricordo, ringrazio, copio, incollo e condivido.

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