martedì 2 luglio 2013

Forse un uomo

Sono due i brani di Forse un uomo (scritto da Sandro Luporini ed eseguito da Giulio Agnello e i Mediterraneo) che più mi piacciono. Ho copiato da qui le analisi delle due canzoni che trovate qui sotto.


Forse un uomo. Questa che a un primo ascolto, magari un po’ distratto, può sembrare una semplice canzone d’amore (infatti contiene frasi inusuali per Luporini come “so soltanto che ti amo”, “sei il mio amore infinito”), è in realtà una nuova tappa della ricerca della verità da parte di un uomo che si sta sgretolando come individuo, che ha perso l’allegria e che di fatto non vive più, non sa più nemmeno se definirsi un uomo (“forse un uomo, forse meno”), non riesce ad amare ed è sempre più solo (“quante sono le persone che ho perduto per la strada”), ed è anch’egli, come i protagonisti delle canzoni precedenti, un eterno adolescente (“non si cresce proprio mai”). Anche qui la profondità delle riflessioni è grande, pur narrando la trama più banale del mondo: un uomo si innamora di una donna, sente di ricominciare a vivere, lei gli dona l’allegria che aveva perso nella sua solitudine, la prende per mano e la fa vivere dentro il suo sogno dove ancora cerca di creare un mondo nuovo (un vizio dell’uomo spesso sottolineato nei brani dell’album), fermando il tempo. Fin qui tutto bello, l’utopia sembra quasi raggiunta, anche se una frase buttata lì in mezzo a questo sogno fa già serpeggiare l’inquietudine, la paura di perdere lei e con lei questo mondo appena nato: “non andar via”. Subito dopo il sogno ecco che Luporini e i Mediterraneo ci fanno piombare nella realtà (una fatica da affrontare ogni giorno), quella delle borse della spesa, della famiglia da costruire (che “forse” esiste ancora, ma la logica del dubbio continua ad accompagnarci), con una figlia che con il suo amore sembra portare il “segno di una nuova armonia”, con l’amore da creare ogni giorno sempre nuovo (e ricompare l’inquieto “non andar via”), lottando contro il tempo che “non ci risparmia mai” (crudamente contrapposto al tempo del sogno, che si era fermato in un attimo illusoriamente infinito). La dialettica fra il sogno e la faticosa realtà di tutti i giorni è portata alla contrapposizione più estrema, ma improvvisamente si risolve nel finale in una sintesi che fa fare un passo avanti all’uomo nella sua eterna ricerca: “non importa quanto abbiamo faticato ma ora sono un po’ cresciuto e tu sei il mio amore infinito”. Quindi l’amore, fra sogno e soprattutto fatica quotidiana, ha portato comunque all’uomo una crescita rispetto alla sua realtà precedente, irrisolta ed adolescenziale, ed egli è ora legittimato a pronunciare la frase d’amore che chiude il brano, frutto di un rapporto costruito giorno per giorno. Non si sa se poi questo amore sarà veramente infinito, ma infinita è senz’altro la ricerca di un’utopia del dove fermarlo. E l’utopia è da sempre il centro e il punto di approdo a cui tendono le riflessioni di Sandro Luporini.


L'imperdonabile idiozia. Questa canzone (l’unico testo dell’album, e uno dei pochissimi in generale, scritto da Luporini su una musica già esistente) vede alcuni dei temi portanti dell’album da un’ottica diversa e nuova: quella del rimpianto per un rapporto che non c’è più, dove si ondeggia fra il voler riavere tutto indietro, sia l’allegria che la malinconia, pur di avere di nuovo accanto la persona perduta forse per sempre, e il disappunto per provare quel rimpianto, definito un’”imperdonabile idiozia”, che non si riesce a capire fino in fondo. E’ un uomo che comunque vive nel riflesso dell’oggetto del suo rimpianto, la donna che torna al centro dell’attenzione dell’autore. L’uomo non ha il coraggio nemmeno di piangere per qualcosa che non c’è (anzi, che non c’è più), come davanti a un film, e addirittura chiede scusa per la sua voglia di parlare di lei, causata dall’ansietà dei suoi ricordi. Quest’ansietà stavolta non è un tendere verso una crescita, come poteva essere la “fatica che si chiama realtà” di “Forse un uomo”, ma è proiettata nell’utopia di un passato che sembra non poter tornare. Nel primo caso c’era un amore che, fra sogno e dura realtà, si costruiva e faceva emergere l’uomo da una condizione di assenza di sentimenti e di slanci, in questo si vorrebbe invece scendere un gradino, tornare a qualcosa che si sogna di recuperare ma che probabilmente potrebbe aggiungere solo un nuovo fallimento. L’odore inconfondibile della donna innamorata di “Quello che accade dopo” diventa qui il vero amore che dura un attimo e se ne va, che se invece si riuscisse a fermare potrebbe magari farci capire la vita. Invece la comprensione della vita sfugge, l’uomo e la donna non sanno nemmeno perché si sono perduti, lui sa solo che lei non esiste più e che la causa di tutto è stata forse la propria assenza quando lei era presente (“quando ancora tu eri qui ero distratto e non parlavo mai di te”), perdendola per distrarsi inseguendo vuote illusioni (“si corre dietro solo a quello che non c’è”), anziché tentare di costruire quell’aspetto dell’amore che si forma giorno dopo giorno anche nella fatica della realtà. Il rimpianto, protagonista di questa canzone, è una forma di dolore un po’ compiaciuta che non può portare nessuna crescita all’uomo, ma nel brano seguente vedremo invece l’alto valore che può avere il dolore stesso se affrontato in modo autentico e consapevole.

Come ho letto da quest'altra parte questo non è un disco di facile ed immediato ascolto, né si può ascoltare un brano piuttosto che un altro. Le canzoni devono essere ascoltate tutte senza tralasciare nulla perché solo così si scopre il messaggio dell’autore dei testi, Sandro Luporini, coautore delle canzoni del Teatro Canzone di Giorgio Gaber, e da Giulio D’Agnello, Meme Lucarelli, Giorgio Luporini e Marco Caneva (musiche).

Ovviamente possiedo l'intero vero fisico CD con tutte le canzoni. Chi lo vuole sentire mi faccia sapere. Buon ascolto.

5 commenti:

  1. Ci sono parole e frasi delle quali abbiamo abusato per rassicurare noi stessi di essere sani e di comportarci secondo copione. Forse dovremmo disintossicarcene per potere di nuovo dare loro un senso. E poi dovremmo smettere di voler definire l’amore, ma caso mai, e più umilmente, tracciare il confine rispetto a ciò che non è. Affermare, per esempio, che non è possesso egoistico del tempo e delle energie dell’altro, ma si coniuga con il desiderare che sia felice, che stia bene. Dovremmo anche liberarci dall’idea malsana che l’amore sia comprovato dalla sofferenza perché l’altro ci sfugge, perché non ci ha mai voluto o non ci vuole più e dal non potere fare a meno di lui neanche per un istante. Quest’ultimo insieme di sentimenti richiama l’idea della dipendenza e del narcisismo, del bisogno spasmodico di conferme, ma non dell’amore. Dovremmo, ancora, liberarci dalla pretesa di un rapporto amoroso privo di ombre, di dubbi, di distanze. Non riesco, infatti, a vedere la simbiosi come amore, ma mi appare piuttosto come l’esito di paure angosciose e di disperazione. Forse, invece, l’amore si genera nel ritmo armonico tra distanza e vicinanza, tra similarità e differenza. Perciò richiede curiosità, disponibilità a cambiare idea, molta intelligenza del cuore e una buona dose di speranza. L’etimologia di quest’ultima parola, del resto, rimanda al desiderio, cioè alla voglia e alla capacità di rendere vivi i sogni. Per tutto questo mi sembrano bellissime entrambe le canzoni.

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  2. L'amore non si descrive a parole, semplicemente si vive.

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  3. Romanzi. Poesie. Canzoni. Opere. Tragedie. Commedie. Tutte queste descrizioni (non definizioni) in parole dell'amore mi hanno accompagnata nel tempo e dato gioia. Poi ci sono le lettere ricevute e quelle scritte, certi sms che mi hanno emozionata, le canzoni dedicate che ho consumato a furia di sentirle: anche queste altre tipologie di descrizioni in parole dell'amore mi hanno spesso resa felice. Persino sui banchi di scuola, sui muretti e sulle cortecce degli alberi sono incise parole che descrivono l'amore. :)

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  4. Niente è più struggente di un abbraccio o di un lungo bacio silenzioso, le parole sono solo un affascinante surrogato evocativo.

    (son discorsi da spiaggia, eh :-))



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    1. Ehi, Elena! Sarei una masochista se pensassi che un bacio o un abbraccio di carta siano meglio di un bacio o un abbraccio di carne! :)

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