Anche questa volta il Fabbricone mi ha regalato una meraviglia. L'ha fatto più di trent'anni fa quando un mio amico mi portò ad assistere al primo spettacolo teatrale in assoluto della mia vita. Allora era En attandant Godot di Samuel Beckett. E ricordo ancora come fosse oggi la scenografia di allora con l'albero spoglio sulla scena. E oggi, a concludere un lungo arco, un altro spettacolo dell'assurdo con Ubo Roi di Alfred Jarry messo in scenda da Roberto Latini. Devo confessare che ero un po' parvenu e l'inizio dello spettacolo con i 7 pescatori che parlano uno strano grammelot mi ha lasciato un po' interdetto. Poi invece, via via che le scene si susseguivano e un intreccio di storia cominciava ad uscire, sono rimasto sempre più affascinato e piacevolmente sorpreso. Il regista è riuscito a rendere fruibile e più che appetibile un'opera originariamente forse un po' ostica. E c'è riuscito veramente alla grande. E poi la scarna scenografia era veramente accativante e le poche luci e i giochi di scena (ricordo con estremo piacere un enorme tappeto di seta rosso che copriva l'intero palcoscenico e che era mosso come un mare in tempesta) erano favolosi. L'impressione di tutto lo spettacolo è stata come quella di un sogno colorato con passaggi non immediatamente razionali e comprensibili da una scena alla successiva. Sì! Sembrava proprio un sogno. E io di sogni sono un grossissimo intenditore e conoscitore (una volta mi divertivo a raccontarli agli amici più cari).
Post-scriptum. Ho realizzato solo uscito dallo spettacolo che Ubu è il premio annuale di teatro in Italia. Il nome deriva proprio dalla piece Ubu Roi che ho visto. E adeso capisco anche il perché.
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