Ci ho pensato molto. Sono arrivata alla conclusione che io, fossi stata una giornalista, questa foto non l'avrei pubblicata. Per una questione di delicatezza, non di censura. Se quel bambino fosse stato mio figlio non avrei voluto vederne il corpo offeso dato in pasto allo sguardo di tutti. Della morte bisogna parlare, specialmente di quella ingiusta e provocata dagli uomini, come bisogna parlare di ogni forma di violenza, ma non è indispensabile mostrare con immagini la crudezza. Anche quando vengono pubblicate immagini di animali straziati dalla cattiveria umana, gatti o cani che siano, provo pudore e fastidio. Credo che le parole siano necessarie; e che bastino per denunciare.
Risposta sintetica. Il titolo del mio post dice già tutto.
Risposta leggermente più elaborata. Io, che penso di aver ben chiaro ormai da molte settimane tutto ciò che sta succedendo nel Mediterraneo, ho "capito" (anche di pancia e non solo di testa) molto di più guardando questa semplicissima foto piuttosto che leggere migliaia di righe / articoli / post / etc...
Aggiunta finale. Penso che la vista e soprattutto le foto (da qui la mia passione per i grandi fotoreporter del passato e di oggi) veicolino idee e sensazioni in maniera molto più incisiva delle parole per la maggior parte di noi umani.
Post-Scriptum. Ovviamente questa cosa va usata cum granu salis. Quando si è bombardati da anni o secoli con una immagine cruda, allora questa immaine perde completamente la sua crudezza. Penso ovviamente al crocifisso cristiano che è, a mio parere, molto più crudo della foto del mio post, ma che ormai, essendone sopraffatti in quasi ogni dove, ha completamente perso la sua forza dirompente.
Sono infatti d'accordo sul maggiore potere emotivo dell'immagine rispetto alle parole e come te amo il linguaggio delle foto (e delle immagini in generale). E anch'io mi sono detta quello che dici, per poi però arrivare a una diversa conclusione. Come te si è mosso Il Manifesto, che oggi apre con quella foto gigante, a prendere quasi tutta la pagina, per i tuoi stessi motivi. Però continuo a pensare che di fronte alla violenza e relative immagini a scopo di sensibilizzazione il rischio è di una specie di cannibalismo in cui, alla fine, proprio come per quel crocifisso cui alludi, ci si abitua. Non sono del tutto soddisfatta delle mie conclusioni, ma sono quelle che mi convincono di più. Ci penserò ancora.
Ovunque l'abbia intravista ho evitato di guardare quella foto. Annienta in me ogni rigurgito razionale. Penso a tutti i bambini nei reparti oncologici, a tutti i bambini mutilati, a tutti quelli offesi e abusati. Anche ora non ce la faccio. E mi viene fuori la frase più stupida..: Lui non aveva desiderato né chiesto questo infame viaggio...
Riguardo al crocifisso : per un adulto ha perso efficacia, per un bambino è scandaloso, fa paura, allontana. Per questo motivo nelle mie aule il crocifisso non c'è. Ricordo una anziana dirigente quando lavoravo nella scuola privata che aveva messo nelle aule immagini di Gesù e sua madre di artisti medievali e rinascimentali, molto più accoglienti per i bambini. Il potere delle immagini... la scuola delle immagini...capisco la tua passione.
"Mister McCurry, ha visto la foto del piccolo Aylan, morto sulla spiaggia di Bodrum?"
"Certo che l’ho vista. E sono convinto che tutti debbano vederla. Abbiamo bisogno di vedere immagini crude, che ci disturbano, che ci scioccano. Ed è stata un’ottima idea pubblicare le foto del bambino. Non possiamo scappare dalla realtà; quello è un modo per raccontare la storia, anche se estremamente crudele. Dobbiamo assolutamente comprendere in che tipo di mondo viviamo".
Altre domande:
"Lei crede che una foto possa essere pedagogica, possa insegnare a capire?"
"A parte l’emozione, come può la storia del bimbo contribuire a risolvere il problema della Siria?"
La risposta di un fotografo non può essere altrimenti. Devo riconoscere che quella immagine ha posto il problema a tutti/tanti, anche a chi si disinteressa da sempre. Resto dell'idea che non dobbiamo fermarci all'immagine.
Lei crede che una foto possa essere pedagogica, possa insegnare a capire? "Una foto prima di tutto scatena emozioni, suscita pietà, provoca rabbia e sgomento. Poi si sedimenta e può educare la gente, spingendola a risolvere i problemi. La storia del piccolo Aylan sarà una prova di quello che sto dicendo. E’ un’immagine molto forte, ma riassume una tragedia, anzi le mille tragedie scatenate da quest’esodo biblico, da questa fuga dalle guerre e dalla fame di centinaia di migliaia di persone......
Ci ho pensato molto. Sono arrivata alla conclusione che io, fossi stata una giornalista, questa foto non l'avrei pubblicata. Per una questione di delicatezza, non di censura. Se quel bambino fosse stato mio figlio non avrei voluto vederne il corpo offeso dato in pasto allo sguardo di tutti. Della morte bisogna parlare, specialmente di quella ingiusta e provocata dagli uomini, come bisogna parlare di ogni forma di violenza, ma non è indispensabile mostrare con immagini la crudezza. Anche quando vengono pubblicate immagini di animali straziati dalla cattiveria umana, gatti o cani che siano, provo pudore e fastidio. Credo che le parole siano necessarie; e che bastino per denunciare.
RispondiEliminaRisposta sintetica.
EliminaIl titolo del mio post dice già tutto.
Risposta leggermente più elaborata.
Io, che penso di aver ben chiaro ormai da molte settimane tutto ciò che sta succedendo nel Mediterraneo, ho "capito" (anche di pancia e non solo di testa) molto di più guardando questa semplicissima foto piuttosto che leggere migliaia di righe / articoli / post / etc...
Aggiunta finale.
Penso che la vista e soprattutto le foto (da qui la mia passione per i grandi fotoreporter del passato e di oggi) veicolino idee e sensazioni in maniera molto più incisiva delle parole per la maggior parte di noi umani.
Post-Scriptum.
Ovviamente questa cosa va usata cum granu salis. Quando si è bombardati da anni o secoli con una immagine cruda, allora questa immaine perde completamente la sua crudezza. Penso ovviamente al crocifisso cristiano che è, a mio parere, molto più crudo della foto del mio post, ma che ormai, essendone sopraffatti in quasi ogni dove, ha completamente perso la sua forza dirompente.
Sono infatti d'accordo sul maggiore potere emotivo dell'immagine rispetto alle parole e come te amo il linguaggio delle foto (e delle immagini in generale). E anch'io mi sono detta quello che dici, per poi però arrivare a una diversa conclusione. Come te si è mosso Il Manifesto, che oggi apre con quella foto gigante, a prendere quasi tutta la pagina, per i tuoi stessi motivi. Però continuo a pensare che di fronte alla violenza e relative immagini a scopo di sensibilizzazione il rischio è di una specie di cannibalismo in cui, alla fine, proprio come per quel crocifisso cui alludi, ci si abitua. Non sono del tutto soddisfatta delle mie conclusioni, ma sono quelle che mi convincono di più. Ci penserò ancora.
RispondiEliminaOvunque l'abbia intravista ho evitato di guardare quella foto. Annienta in me ogni rigurgito razionale. Penso a tutti i bambini nei reparti oncologici, a tutti i bambini mutilati, a tutti quelli offesi e abusati. Anche ora non ce la faccio. E mi viene fuori la frase più stupida..: Lui non aveva desiderato né chiesto questo infame viaggio...
RispondiEliminaE l'irrompere delle emozioni non aiuta ad affrontare l'enorme problema delle migrazioni incontrollate ed assurde. Anzi.
RispondiEliminaRiguardo al crocifisso : per un adulto ha perso efficacia, per un bambino è scandaloso, fa paura, allontana. Per questo motivo nelle mie aule il crocifisso non c'è. Ricordo una anziana dirigente quando lavoravo nella scuola privata che aveva messo nelle aule immagini di Gesù e sua madre di artisti medievali e rinascimentali, molto più accoglienti per i bambini. Il potere delle immagini... la scuola delle immagini...capisco la tua passione.
RispondiEliminaIntervista al fotografo McCurry (lo scorso anno visitai una sua mostra a Perugia):
RispondiElimina"Mister McCurry, ha visto la foto del piccolo Aylan, morto sulla spiaggia di Bodrum?"
"Certo che l’ho vista. E sono convinto che tutti debbano vederla. Abbiamo bisogno di vedere immagini crude, che ci disturbano, che ci scioccano. Ed è stata un’ottima idea pubblicare le foto del bambino. Non possiamo scappare dalla realtà; quello è un modo per raccontare la storia, anche se estremamente crudele. Dobbiamo assolutamente comprendere in che tipo di mondo viviamo".
Altre domande:
"Lei crede che una foto possa essere pedagogica, possa insegnare a capire?"
"A parte l’emozione, come può la storia del bimbo contribuire a risolvere il problema della Siria?"
...
La risposta di un fotografo non può essere altrimenti. Devo riconoscere che quella immagine ha posto il problema a tutti/tanti, anche a chi si disinteressa da sempre. Resto dell'idea che non dobbiamo fermarci all'immagine.
EliminaLei crede che una foto possa essere pedagogica, possa insegnare a capire?
Elimina"Una foto prima di tutto scatena emozioni, suscita pietà, provoca rabbia e sgomento. Poi si sedimenta e può educare la gente, spingendola a risolvere i problemi. La storia del piccolo Aylan sarà una prova di quello che sto dicendo. E’ un’immagine molto forte, ma riassume una tragedia, anzi le mille tragedie scatenate da quest’esodo biblico, da questa fuga dalle guerre e dalla fame di centinaia di migliaia di persone......