È questa frase di Nietzsche quella che può riassumere il libro "Uno psicologo nei lager" di Viktor E. Frankl.
Il dolore dell'uomo assomiglia al comportamento dei gas; con una certa quantità di gas, posta sotto pressione, riempe in ogni caso uno spazio vuoto, indipendenetemente dalla sua grandezza, così il dolore, grande o piccolo che sia, riempe in ogni caso l'animo dell'uomo.
In questo testo non si parla solo di sofferenza, ma anche di amore, definito come il punto più alto al quale l'essere umano possa innalzarsi.
L'amore non si riferisce affatto all'esistenza corporea di una persona, ma intende con profondità straordinaria l'essere spirituale della creatura amata: il suo "essere così" (come dicono i filosofi). Sono del tutto fuori causa la sua "esistenza", il suo essere-qui-con-me, perfino la sua vita fisica, il suo essere-in-vita. Se la persona amata sia viva o no, io lo ignoro, né lo verrò a sapere (durante l'internamento non potemmo scivere ne ricevere lettere), ma in questo momento ciò non ha alcuna importanza. Che la persona amata sia viva o no non ho quasi bisogno di saperlo: tutto questo non riguarda il mio amore, il mio pensiero amoroso, la contemplazione amorosa della sua immagine spirituale. Se avessi saputo che mia moglie era morta, credo che questa consapevolezza non m'avrebbe affatto turbato: avrei continuato nell'amorosa contemplazione, i miei dialoghi spirituali sarebbero stati ugualmente intensi, m'avrebbero dato la stessa pienezza."
Ho letto però anche delle grosse corbellerie che non mi trovano d'accordo: Se la vita ha un significato in sé, allora deve avere un significato anche la sofferenza. La sofferenza, in qualche modo, fa parte della vita - proprio come il destino e la morte. Solo con miseria e morte l'esistenza umana è completa!".
Forse la frase migliore del libro è questa: Non importa affatto cosa possiamo attenderci noi dalla vita, ma importa, in definitiva, solo ciò che la vita attende "da noi"!
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