lunedì 12 ottobre 2009

Nettuno

Scricchiolavano come ossa rotte.
Abbandonate dal mare sul litorale della Versilia, tutte quelle fragili conchiglie si spezzavano una dopo l'altra, quasi gemendo come se fossero in vita, sotto le suola di gomma delle mie scarpe sportive.
Era un suono strano che, come una triste musica, faceva da sottofondo ai miei pensieri.
La luna piena, lassù in alto, faceva rimbalzare sul mare la sua pallida luce riflessa. Guardavo, senza però realmente vederli, quei magnifici luccichii, che saltellavano e si rincorrevano sull'apparentemente dolce superficie di quel mare che tante volte era stato testimone di attimi della mia vita.
Era stato proprio lì, davanti a me, che una splendida mattina di agosto, di ormai diversi anni fa, ero arrivato e mi ero fermato, accanto a una boa, con un pattino bianco come la neve e rosso come il fuoco. Ero lì assieme a "lei".
E sempre lì, ancorato alla boa, le avevo rivelato il mio amore, scoprendo, quasi con sorpresa, di essere ricambiato o, perlomeno, accolto.
Molte volte gli uomini che, sin da epoche remote. si sono autodefiniti cacciatori, in realtà altro non sono che piccole e, spesso, stupide prede.
Credono di essere forti. Credono di poter conquistare, per sempre, l'amore di una donna. Credono... Ma in realtà solo con il tempo si rendono dolorosamente conto che nulla è scontato, che niente è davvero così come sembra.
Quegli uomini poi che possiedono più sensibilità, come in fondo ho sempre creduto di avere anch'io, si gettano a capofitto nel vortice delle emozioni, come fa il pesce scartato dal pescatore che si rituffa felice nel suo mare. Ma, proprio come quel pesce, si accorgeranno di portare per sempre con sé una ferita straziante, come quella creata dall'amo del pescatore nella bocca del pesce. Una ferita che gli ha strappato un pezzo di anima.
E "lei" mi aveva gettato in mare, mi aveva abbandonato, e nel momento in cui avevo più bisogno che mi fosse accanto.
Il lavoro, da giovane imprenditore, come oggigiorno si dice, era partito bene. In molti mi avevano spinto a sfruttare a mio vantaggio quello che mi veniva detto fosse un mio talento.
Tanto che mi ero davvero convinto di avere un talento, uno di quelli che, come si credeva nei tempi antichi, gli dèi ti donano al momento della nascita.
E non si può andare contro al volere degli dèi: sarebbe un'offesa troppo grande.
Ma probabilmente li ho offesi ugualmente, in qualche modo, anche senza volerlo, senza esserne consapevole.
Nel giro di poco tempo la mia attività aveva iniziato a traballare. I debiti superavano i guadagni. Quelli che ingenuamente avevo considerato amici, con le scuse più assurde e banali, si erano dileguati nel nulla.
E nel nulla stavo sprofondando io.
Mentre gli "amici" sparivano, spuntavano - come funghi dopo la pioggia - i creditori.
Allora avevo tentato di arginare i debiti con altri debiti, Prima attarverso le vie istituzionali delle banche, che ovviamente, nel momento che hai davvero necessità del loro aiuto, ti gettano fuori a calci; ma sempre con garbo, sia chiaro.
Poi con gli strozzini, squali incrociati con avvoltoi e camuffati da esseri umani.
E, da quel momento in poi, la buca in cui sei caduto, si trasforma in un baratro senza fondo.
E "lei" in quei momenti era riuscita a pronunciare le parole più crudeli che le mie orecchie avessero mai ascoltato: "Non volermene, mi dispiace, ma non sento più niente per te. È inutile continuare a soffrire entrambi. Bisogna farsene una ragione. Purtroppo la magia dell'amore tra di noi non c'è più. è Tutto finito! Addio!"
L'avevo osservata, in silenzio, mentre preparava le sue valigie. Mentre si allontanava, senza uno sguardo. Mentre chiudeva la porta di casa, dentro di sé. Per sempre. Solo di questo ero certo: per sempre!
Allora a cosa serviva combattere ancora? Combattere di nuovo?
Certo, ripensandoci forse avevo le mie colpe. Avevo creduto negli dèi e nel loro aiuto. Avevo creduto nell'amore eterno, trascurando di comprendere a pieno tutto quel mondo che mi era sempre stato così incomprensibile e, spesso, distante. Quell'intero universo che si chiama donna. E "lei", sì, lei era proprio la donna. La mia donna che ora non c'era più!
La mia mente si stava ingarbugliando in tutti questi pensieri mentre i luccichii lunari continuavano a rimbalzare dalla superficie del mare ai miei occhi lucidi.
Quel mare notturno così calmo, ma così vivo, era invitante!
Mi attraeva a sé e, quasi senza rendermene conto, mi ero ritrovato con l'acqua alle ginocchia.
Non era fredda, tutt'altro. Sentivo su tutto il corpo una specie di benessere e iniziai, coscientemente stavolta, a camminare in avanti verso quel mare misterioso e accogliente. Lo avevo visto fare in un film. Ma quale era? Ma, non lo so, non lo ricordo. Comunque in quel film la protagonista iniziava a camminare dentro il mare, andando avanti, con lentezza, sempre più avanti, sino a quando l'acqua non la ricopriva totalmente, facendola scomparire con delicatezza.
Mi appariva come un dolce finale. La fine di una triste storia. la mia fine.
Sì, ecco, avevo trovato la soluzione. Entrare per sempre in quel mare che tanto mi aveva dato e a cui adesso donavo la mia vita. Il mio sacrificio volontario a quegli dèi che dovevo avere offeso.
Ormai l'acqua era già arrivata sopra la cintura dei miei jeans quando davanti a me, al chiarore della luna, vidi qualcosa che stava galleggiando sulla superficie del mare. No, non stava galleggiando: stava uscendo dal mare!
Mi bloccai. La paura assume forme strane. In quel momento la mia mente diceva al corpo di fuggire, ma il mio corpo se ne stava lì immobile, congelato come un merluzzo nel ghiaccio del supermercato.
Quel qualcosa intanto continuava a uscire dal mare e si faceva sempre più grande. Era una testa. Una testa umana. E continuava a venire fuori dall'acqua. Dopo la testa il collo e poi il corpo. Quella, che nel giro di pochi istanti era lì di fronte a me, era una figura femminile, sinuosa e affascinante. E mi fissava con occhi di un colore indefinito, limpidi come acqua pura. I capelli erano cortissimi, quasi inesistenti. Mi sembrava completamente nuda, ma forse era solo l'effetto del controluce creato dalla luna.
Inebetito completamente, credo di aver pronunciato balbettando frasi inutili: "Chi sei? Cosa vuoi da me?"
La figura, senza pronunciare una sillaba, portò il dito indice della mano davanti al suo naso. Mi chiedeva silenzio.
La paura mi cresceva dentro come un cancro. Sentivo nello stomaco  qualche cosa che mi stava divorando. Sentivo il gelo scorrere nelle vene. Il sangue rallentare il suo percorso sino a fermarsi del tutto. E allo stesso tempo la testa scoppiare. I pensieri rimbalzavano dentro il cranio, da un punto all'altro, senza trovare modo di uscirne fuori.
Quell'essere, pauroso e affascinante, continuava a fissarmi. E i miei occhi non riuscivano a staccarsi dai suoi, come collegati da un invisibile filo d'acciaio.
Poi lentamente iniziò a scuotere la testa da destra a sinistra, di nuovo a sinistra e poi a destra. Era un no, dolce, ma perentorio.
Ero ancora immobilizzato dai miei stessi muscoli, quando lei sollevò di nuovo la mano, allungò il dito indice e se lo portò alla bocca poggiandolo sulle labbra. Poi allungò il braccio verso di me. L'odore del salmastro era come esploso, mi entrava nelle narici provocandomi dolore. Ogni singolo battito del cuore era come una pugnalata lancinante nel petto.
In un movimento unico la punta del suo dito toccò la mia fronte, proprio in mezzo agli occhi. Un calore che mai avevo sentito si sparse in tutto il mio corpo. Tutte le paure e le ansie svanirono in un istante.
Appena un attimo dopo mi girò le spalle e il suo corpo formò una silhouette meravigliosa sui luccichii lunari del mare. Così come era apaprsa, scomparve di nuovo, immergendosi lentamente nelle acque profonde e accoglienti che solo pochi secondi prima mi avevano tanto attratto.
Scricchiolavano come ossa rotte. Tutte quelle fragili conchiglie si spezzavano una dopo l'altra, dentro i miei pugni stretti.
Mi ritrovavo lì, bagnato e seduto sulla sabbia con in mano i pezzi di conchiglie marine, a guardare quel mare in cui volevo affogare le mie delusioni.
Ma adesso non più. Avevo compreso. Non era ancora arrivato il momento della fine. Gli dèi mi volevano ancora bene.
E ora so pure che Nettuno è donna. Che lo siano tutti gli dèi?
 
Giovanni Beani
da Storie di Mare / 1
Marco Del Bucchia Editore, 2009

Sabato ho fatto un giro al
Pisa Book Festival con le figlie.

Ho trovato un libro che cercavo da tempo. Poi ho curiosato tra i diversi espositori. Ho visto moltissimi libri interessanti. Sino a che sono capitato di fronte a un banco dove un signore dimesso non invogliava gli acquirenti nè con sconti nè con discorsi. Tra i vari libri esposti ce n'era uno che mi attirava. L'ho preso in mano e rigirato. L'ho lasciato. L'ho ripreso. Alla fine l'ho acquistato. È Storie di Mare / 1 , una antologia che contiene i racconti finalisti alla
prima edizione del premio letterario Il signore delle isole, dedicato a Gian Paolo Puccetti ed ispirato all'omonimo romanzo. Ieri ho cominciato a leggere i primi racconti. Questo qui sopra è uno dei primi. Non ha vinto. Ma mi è rimasto impresso per molti motivi. Innanzittutto è scritto da una persona che conosco (non lo conoscevo come scrittore ma come mago). E poi il racconto mi ha preso perché ha fatto vibrare molte corde della mia anima, una corda dopo l'altra come in un concerto.


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