mercoledì 11 novembre 2009

Perché non sei venuta prima della guerra?


Domenica scorsa, uggiosa e casalinga, mi sono letto
Perchè non sei venuta prima della guerra? di Lizzie Doron (edizioni Giuntina).

Parla della Shoah, senza mai nominarla. Protagonista è Helena che riesce a separare il bene dal male in maniera netta, chirurgica, senza nessun compromesso.

All'inizio questo libro non mi ha preso. Ma mi sono imposto di continuare la lettura. E via via che i capitoli passavano mi piaceva sempre di più questa madre (Helena) e sua figlia (Lizzie, l'autrice narrante) che si vergognava talvolta un po' di lei.

Alla fine il libro me lo sono letto tutto con passione sempre più crescente. Il racconto (il capitolo) più bello è quello centrale intitolato Libertà. Ma era troppo lungo per essere ricopiato qui sul blog. Così ne riporto un altro, più breve, ma ugualmente bello. Si intitola:


Selezione


I festeggiamenti del mio bat-mitzvà si erano conclusi.
Helena si sedette sulla sedia a dondolo in camera mia. La sedia era rivolta verso la finestra che dava sul cortile invaso dalle erbacce.
"Tutti i regali qui!" ordinò, e con il dito indicò lo spazio ai suoi piedi. Uno dopo l'altro i regali furono scartati e Helena li passò in rassegna come fosse la presidentessa della fondazione per la sicurezza dei giochi. Ogni regalo, senza eccezione, fu controllato. Helena li girava, se li avvicinava agli occhi, li esaminava, come se per lei fosse di capitale importanza che qualcosa non sfuggisse al suo controllo.
"Dobbiamo selezionarli, dobbiamo selezionarli" diceva senza sosta mentre si occupava dei regali.
E all'improvviso le sue labbra si strinsero, un occhio si chiuse e l'altro si spalancò; Helena si concentrò, la sua mano appena tremante si fece ferma, come per una missione: il regalo partì dalla sua mano, fendette l'aria della stanza, decollò dalla finestra e atterrò nel cortile. Nella stanza sentimmo il rumore di cocci rotti e dalla strada si sentì il rumore delle persiane che si aprivano, una a destra e l'altra a sinistra, sbattevano sui muri delle case come tamburelli. La finestra spalancata della mia stanza lasciava entrare la luce dei lampioni, una luce scialba rispetto alla brillantezza degli occhi dei vicini che seguivano gli eventi ed ascoltavano le voci.
E nella stanza, Helena, scegliendo: "Questo qua, questo là; questo qua, questo là" ripeteva. "Devo fare una selezione, non tutti i regali possono rimanere in casa", e scusandosi: "Ma tu non devi essere triste, il regalo che volevi l'ho già preparato da tempo, è nell'armadio, sulla mensola in basso a destra".
Un registratore e una macchina fotografica mi aspettavano impachettati nell'armadio.
E intanto il cortile, sotto la nostra finestra, continuava ad accumulare oggetti che non aveva mai visto: giochi, asciugacapelli, accessori e bigiotteria.
La mattina seguente il cortile si era trasformato. Molti bambini chiedevano di poterci giocare, riunire e montare i pezzi del puzzle. Gli adulti osservavano e la maggior parte rimaneva in silenzio.

Guta la rabbinessa chiese: "Perché? Come mai Helena ha gettato nel cortile i regali che Elizabeth ha ricevuto per il suo bat-mitzvà?"
E suo marito, il rabbino, si arrabbiò e con tono lamentoso protestò: "Con quale diritto ha deciso di fare una selezione di regali non suoi!".
"Forse ha pensato che i regali erano troppo miseri" Fruma la maestra propose come soluzione per quel mistero.
"Forse ha buttato via i regali delle persone che non ama?" ragionò a voce alta Kalman il lattaio lasciando davanti alla nostra porta una bottiglia di latte gratis. "Un regalo per Elizabeth", scrisse nel biglietto "augurando a Helena di avere una figlia forte e sana".
E poi ci furono le voci che dicevano che Helena era impazzita, ma una risposta chiara e inequivocabile su quella faccenda non venne mai fuori.

Un bambino sconosciuto che abitava ai margini del quartiere iniziò a presentarsi nel cortile ogni giorno alla stessa ora. Nella cartella logora che si portava dietro c'erano sempre un quaderno a righe con la copertina trasparente, un astuccio, una matita del colore della senape, una gomma e un appuntalapis. Si sdraiava per terra, tra l'ortica e l'acetosella, prendeva i frammenti dei regali e annotava i nomi. Ore e giorni zappettò e classificò, scavando sempre più in profondità nel cortile.
Un giorno bussò alla nostra porta e chiese di consegnare a Helena un rapporto scrupoloso che aveva scritto tutto di suo pugno; nel rapporto c'erano due paragrafi.
Il primo comprendeva un'analisi completa di tutti i pezzi di oggetti che aveva trovato, e tra loro: una macchina fotografica, una radio, un orologio, un portafoglio e molti altri ancora.
Il secondo paragrafo riportava le conclusioni: "Ecco quanto ne consegue:" aveva scritto "non ci sono stati ritrovamenti di reperti integri, ma soltanto parti di oggetti vari fatti di diversi materiali".
In una nota, scritta con lettere grandi e storte, aveva aggiunto: "L'unica cosa degna di nota che ho rilevato è stata la scritta presente su tutti gli oggetti: Made in Germany. Può darsi che Helena non sia disposta a tenere in casa cose provenienti da un paese straniero.
In fede.
Yosef Rafael".

Helena abbracciò il bambino e gli chiese: "Cosa vuoi fare da grande?".
"L'archeologo" rispose.
"Diventerai sicuramente famoso," gli disse "sei un bambino intelligente e curioso. Quando sarai un archeologo sono sicura che scoprirai un sacco di segreti seppelliti sotto la terra".
Lui sorrise e se ne andò. La missione era compiuta. Yosef Rafael non si vide più nel cortile di Helena.

6 ottobre 1973.

Yosef Rafael fu ucciso sulle alture del Golan.
Helena si recò sulla sua tomba ogni anno fino al giorno della sua morte, e con sé portava sempre un mazzo di fiori selvatici del cortile.


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