domenica 4 maggio 2014

From Alice to Ocean



Ricordo come fosse ieri che un giorno, agli inizi degli anni '90, mentre lavoravo su un computer mi fu dato un CD. Lo inserii nel lettore e comparve una storia che mi stupì tantissimo. Fino a quegli anni il computer non veniva quasi mai usato per vedere foto, ma solo per farci girare sopra programmi. Internet esisteva, ma il WEB non era ancora nato. E io usavo tutti i santi giorni il computer per scrivere programmi, fare qualche grafico con Excel e, talvolta, vedere qualche foto che arrivava con i nastri di distribuzione del sistema operativo (a quei tempi SunOs o forse Solaris, non ricordo). Ebbene inserii quel CD (uno dei primi che vedevo che non contenevano solo musica, ma erano addirittura leggibili dal computer) e mi apparve un racconto cliccabile con hyperlink (non ero abituato a questa cosa, era bella ma ancora strana). La prima videata era questa qui sotto.



Si trattava del primo CD con storia interattiva creato. Si intitolava From Alice to Ocean e narrava di una ragazza che aveva attraversato l'Australia da Alice Spings (nel centro dell'Australia) alla costa ovest. Ricordo che non rimasi tanto affascinato dalla storia, bensì dalle bellissime foto e dalla possibilità dell'interattività: non ero costretto a seguire una storia dall'inizio alla fine, come in un libro, ma potevo saltare con il mouse in un punto qualsiasi dello schermo (e quindi dell'Australia) e vedere le foto scatatte lì, proprio in quel punto!

Oggi sono andato a vedere al cinema "Tracks - Attraverso il deserto" e ho ri-scoperto quella storia.



Il film narra esattamente la storia di Robyn Davidson, del suo cane e dei suoi 4 cammelli in quella avventura che fu fotografata da Rick Smolan (con cui Robyn ebbe una storia del tipo "on-again off-again" durante i 9 mesi del viaggio) e fu poi pubblicata con enorme successo sul National Geografic e in un libro omonimo.



Il film mi è piaciuto, così come mi era piaciuto "Into the Wild", che in un qualche modo gli assomiglia, anche se qui per fortuna c'è il lieto fine. Il deserto australiano, visto dalla comoda poltrona di un cinema, è veramente stupendo. E ogni tanto ho pure ragionato su come, in neanche 35 anni, il mondo sia cambiato. Ad un certo punto nel film (e immagino anche nella realtà) Robyn perde la bussola in pieno deserto e anche se ha una carta geografica non sa più dove andare. Al giorno d'oggi un banale GPS le avrebbe dato istantaneamente la sua posizione. Oppure in un altro punto la protagonista tenta inutilmente di usare una radio per comunicare con il mondo civile, mentre al giorno d'oggi con un satellitare avrebbe potuto chiamare qualsiasi telefono sulla faccia della terra.



Una altra cosa che mi ha favorevolmente colpito nella storia è il rispetto che Robyn ha per la sacralità delle terre aborigene. È disposta ad allungare il percorso di 250 km per non dover passare attraverso i territori sacri degli autoctoni. È una cosa che mi ha colpito positivamente davvero tanto. Insomma è proprio un bel film.

11 commenti:

  1. Io, invece, non conoscevo la storia, ma mi sono identificata con la protagonista per molti motivi. Uno è la ricerca, anche in solitudine, di grandi spazi naturali per sdrammatizzare piccole vicende di infelicità. Infatti anche per me l’accostamento con il bellissimo “Into the Wild” è stato immediato. Ma soprattutto è la rappresentazione del suo rapporto con gli altri animali, quelli di specie diversa da noi, che mi ha commossa; cioè il suo desiderio-bisogno di rompere i confini di specie per leggere in un altro gli stessi dolori o le gioie che ci appartengono come esseri umani. Mi inteneriva, guardando il film, quel suo avvicinarsi ai cammelli, al loro lungo collo e sfiorarlo con la punta delle dita per poi abbracciarlo, e rallentare i gesti e modulare la prosodia nel rivolgersi a loro. (Non voglio scrivere niente del cane nero perché altrimenti rischio di rimettermi a piangere come mi è successo in sala).

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  2. A me capita spesso di sbagliare strada perché (per scelta) non uso in GPS. E' molto bello imparare a leggere una mappa ed è altrettanto bello smarrirsi per poi arrivare fortunosamente a destinazione.

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    1. Meglio non perdersi in mezzo ad un deserto di 2700 km (due volte la lunghezza dell'Italia da Nord a Sud) :-)

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  3. Certo, ma a quanto pare Robyn ha dimostrato che è possibile...

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    1. La bussola l'ha ritrovata! Sennò faceva la stessa fine di Christopher McCandless di "Into the Wild".

      E stessa sorte avrebbe fatto se non avesse ritrovato i cammelli che una notte le erano scappati.
      C'è poco da scherzare. Sapere dove si è e sapere dove andare è essenziale in certi frangenti.
      E Robin si è preparata due anni prima di iniziare questo viaggio. E ha saputo ascoltare i consigli che le venivano dati (ha portato una radio anche quando non voleva). Ha preso e usato un fucile contro dei cammelli selvatici in amore per salvare se stessa (anche se amava gli animali). Insomma non era uno scherzo fare quello che ha fatto. E l'ha saputo fare non ignorando il buon senso come invece ha fatto Christopher McCandless.


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    2. Accidenti hai ragione! e io che pensavo che vagare per il deserto fosse come vagare per la piana pisana... hai fatto bene a bacchettarmi [qualche volta dimentichi di azionare la modalità ironica]

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  4. Oggi ho letto 4 critiche positive e 1 stroncatura di questo film. Mi dispiace che la stroncatura giunga proprio da uno dei siti di cinema che seguo con maggior interesse. Ma non importa, il film mi è piaciuto e questo basta.

    Non so per quale strana alchimia del mio modo di pensare ma io metto Tracks insieme ad altri 3 film: Dersu Uzala, Thelma & Louise, Into the Wild. Magari qualche conoscitore della psiche riuscirà a spiegarmi il mio accostamento. Io non ci riesco.

    Ah.. un'ultima cosa... Mia Wasikowska assomiglia molto alla figlia di una mia amica. Non c'entra nulla, ma volevo dirlo!

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    1. Il viaggio, quando assomiglia a una fuga, è anche una metafora dell’introspezione, del guardare se stessi con altri occhi per poi cercare il proprio riflesso nello sguardo di un altro. Il viaggio è la solitudine e l’altrove necessari per comprendere e apprezzare il qui e ora e la condivisione.
      Mi viene in mente una poesia di Costantino Kavafis, “Itaca”, che forse potrebbe spiegare il legame tra questo e i tre film ai quali lo hai associato, pur nella diversità dei finali. Non la trascrivo qui perché non ho trovato in rete una traduzione che mi piaccia e non ce l’ho tra i miei libri.

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    2. Antonella, bello Kavafis! L'altro giorno ho ascoltato alla radio una trasmissione a lui dedicata che ho ritrovato anche in podcast, mi è piaciuta tanto http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-abac4045-4f43-4993-8b9f-2aa21e7f70ea.html

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    3. Che poi qualcuno lo scrive con la "C": Cavafis...Vorrei avere sottomano una bella traduzione di quella poesia, ma non ho tempo di cercarla, ora...Chissà com'è quella letta - se l'hanno fatto - nella trasmissione di cui hai messo il link. Appena posso ascolto...

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  5. L'ho visto anch'io e anche se non capisco la meccanica di questa potente molla, mi interessa proprio perché distante da me, molto più di 2700 km. Bel film: volevo esserci a testimoniarlo in questa bacheca.

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