Ieri sera a Seravezza ho assistito per la prima volta ad uno spettacolo di Moni Ovadia che mi ha fatto scoprire un autore che, per tanti motivi, non avevo mai coscientemente voluto affrontare. Moni ha letto e commentato alcune pagine degli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini. Ho capito e sentito con le mie orecchie che ciò che scriveva nel '74 sulle pagine del Corriere della Sera era il prodromo di un avvenire che è esattamente il presente dei nostri giorni. E Ovadia ne ha dato una doppia lettura: da una parte ancorata al contesto storico di quando quelle cose venivano scritte e dette e dall'altra parte un accenno al contingente e al presente. Ho apprezzato lo svaporamento dell'antitesi fascismo-antifascismo che loro (sia di Pier Paolo, sia di Moni) hanno descritto e mi è piaciuta molto la definizione di "altro" con cui noi ogni giorno abbiamo a che fare: un "altro" ingombrante con cui dobbiamo relazionarci. Almeno nel '74 il potere permetteva che si parlasse e si facesse cultura rivoluzionaria sia sulle pagine dei più importanti giornali sia sulla televiose di stato. Adesso l'appiattimento culturale (e la scomparsa delle dicotomie con le loro diverse culture) è piatto sia in Italia che nel resto del mondo occidentale. La differenza, ricorda Moni Ovadia, è che altrove ancora esistono politici e statisti degni di questo nome, mentre in Italia non è rimasto (quasi) nessuno.
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