Dall’osservatorio di Pittsburgh posso aggiungere che in Texas si sta discutendo un bilancio 2012 in cui i finanziamenti alle biblioteche vengono ridotti del 99%, oltre a una perdita di 8miliardi di dollari in fondi del governo federale. In Florida, il Senato ha eliminato il 100% dei contributi alle biblioteche, il che provocherà anche una perdita di finanziamenti del governo federale, che sono legati a un certo livello dei servizi. In California il bilancio è ancora nel caos e difficilmente i servizi culturali saranno risparmiati.
In competizione con i pompieri
Un’eccezione c’è: la Pennsylvania, dove i finanziamenti dello Stato non calano: l’anno prossimo il Public Library Subsidy rimarrà allo stesso livello del 2011 (53,5 milioni di dollari) al contrario di molti servizi essenziali, come l’università, i trasporti pubblici o la difesa dell’ambiente, che il nuovo governatore repubblicano Tom Corbett ha tagliato senza esitare. Secondo «American Libraries», 19 stati su 50 hanno ridotto i fondi per le biblioteche (e dieci hanno fatto tagli superiori al 10%).
Il «Financial Times» spiega che le biblioteche non attraversano una crisi passeggera ma una fase in cui la loro stessa esistenza è in dubbio. La ragione è semplice: in quanto istituzioni finanziate dai governi locali esse devono subire le conseguenze di una crisi fiscale che non è contingente. Tutti i governi occidentali hanno bilanci pesantemente in rosso e inGran Bretagna come negli Stati Uniti, ridurre la spesa pubblica è diventato una priorità. Né Cameron né Obama vogliono (o possono) aumentare le tasse, quindi possono soltanto tagliare le spese e non saranno certo quelle militari a essere ridotte, almeno nel breve periodo.
Tra le spese non militari, le biblioteche devono competere con servizi sanitari sempre più costosi e con un sistema pensionistico squilibrato per ragioni demografiche (in futuro ci saranno più pensionati che lavoratori attivi). La crisi continua a mantenere elevate le spese di assistenza ai disoccupati e ai poveri e – sottolinea Caldwell – negli Stati Uniti «le spese locali per il welfare sono spesso obbligatorie per legge mente le spese per le biblioteche sono discrezionali».
La fine della transizione
L’autore dell’articolo va oltre: «Le biblioteche appartengono a un periodo di transizione alla fine del XIX secolo, dopo l’affermazione della democrazia ma prima della crescita del welfare state. Le biblioteche facevano da ponte fra il vecchio stile di governo e il nuovo». Oggi questo periodo di transizione è finito da un pezzo e la biblioteca, come molti altri settori dello stato sociale, potrebbe soccombere alla crisi fiscale.
Esse sono vulnerabili anche perché, al contrario della sanità o della scuola, servono una minoranza della popolazione. Non ci sono famiglie escluse dal servizio sanitario in Gran Bretagna, né famiglie che rinuncino all’istruzione obbligatoria negli Stati Uniti (con modeste eccezioni legate a convinzioni religiose). Le biblioteche, invece, vengono frequentate da circa un terzo dei cittadini in Inghilterra e, in America, il 58% degli adulti sostiene di avere la tessera della bibliotecama questo naturalmente non significa che poi ci si vada davvero. Gli enti locali devono decidere se tagliare servizi che semplicemente sono irrinunciabili, come i pompieri o la polizia, oppure sacrificare una istituzione utile solo a una minoranza: non è difficile immaginare quali saranno le scelte.
Studenti in difficoltà
Implicita in questa discussione, ma mai affrontata è la questione di un’altra fase di transizione che le biblioteche hanno estrema difficoltà a gestire. Si tratta della fase iniziata alla fine del ventesimo secolo con la prepotente affermazione delle tecnologie di comunicazione individualizzate. Il computer portatile, il telefonino, ora l’iPad non potevano che generare la sensazione che la fase in cui le biblioteche facevano da ponte fra la cultura accumulata nei secoli e il singolo utente fosse finita. Su questo, qualche riflessione più approfondita sarebbe utile.
I bibliotecari sostengono che le biblioteche sono un servizio necessario per la comunità e nessuno studioso serio lo nega ma i politici, almeno in questi anni tristi, sono indifferenti a ogni ragionamento che vada al di là della prossima scadenza elettorale. Se proprio devono pensarci, diranno che nell’era degli smart phone, del Kindle e dell’iPad nessuno ha veramente bisogno della biblioteca. Magari potranno anche riconoscere che sono molto utili per i pensionati, i disoccupati e gli immigrati ma i primi possono andare a leggere il giornale al bar, i secondi si accontentino di non morire di fame e gli ultimi prima se ne vanno e meglio è.
Non ci sono buoni argomenti che possano convincere cattivi politici a fare ciò che dovrebbero, ma i cittadini hanno varie buone ragioni per mobilitarsi in difesa delle biblioteche, a cominciare proprio da quei grandi utilizzatori di smart phone, di Kindle e di iPad che sono gli studenti universitari. Unrapporto di qualche anno fa sulla loro capacità di fare ricerche su internet finalizzate allo studio e non all’intrattenimento dava risultati poco entusiasmanti: solo il 52% era in grado di valutare correttamente l’obiettività di un sito web, solo il 65% il suo grado di autorevolezza. In altre parole, moltissimi giovani, forse la maggioranza, non sono in grado di distinguere il valore dei materiali di Wikipedia da quello delle pubblicazioni dell’università di Harvard, né sono capaci di trovare ciò che è utile per capire situazioni complesse o problemi politici con i quali non hanno familiarità.
Questo significa che, in assenza di ambienti culturali collettivi che offrano aiuto e guida, le straordinarie possibilità di ricerca offerte dalla rete resteranno delle possibilità, quando non aggraveranno la confusione per l’eccesso di stimoli non filtrati. I gadget elettronici non sono un sostituto né della scuola né della biblioteca.
Confronto tra cittadini
Questa linea di ragionamento, tuttavia, rimane ancora nell’ambito ristretto di una valutazione economicista dell’utilità sociale della biblioteca: se non si vuole che i giovani crescano troppo ignoranti, e quindi incapaci di competere sul mercato mondiale, occorre fornire almeno dei servizi culturali minimi, tra cui le biblioteche. C’è una ragione ben più sostanziale da mettere al centro del dibattito: come scriveva la bibliotecaria Eleanor Jo Rodger in un saggio del 2009, le biblioteche sono una irrinunciabile «infrastruttura democratica» e questo è il motivo per cui Andrew Carnegie spese la sua fortuna personale per costruirne ovunque.
Il problema non è se i cittadini ci vadano o no: è che devono avere la possibilità di andarci. Non c’è teoria moderna della democrazia che ammetta un cittadino disinformato e ignorante. Una biblioteca arricchisce il tessuto democratico rendendo possibile ai cittadini di informarsi non nella solitudine di un computer casalingo ma in un confronto con altri cittadini, altri documenti, altri formati. Di questo lavoro incessante le biblioteche sono un luogo necessario. Anche se ci si va soltanto per leggere la «Pittsburgh Post Gazette» o il «Resto del Carlino».
(Antonella Agnoli)
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