venerdì 22 maggio 2015

Pre-Basaglia


Una deputata PD, insieme con altri, ha presentato una proposta di legge per far avere il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) alle persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare (anoressia, etc...) se in pericolo di vita.

L'anoressia è una bruttissima malattia (recentemente ha fatto molta impressione in tutto il mondo la richiesta d'aiuto che presento qui sotto), ma sinceramente non credo proprio che il TSO sia una soluzione, Anzi credo che il TSO possa spesso complicare e peggiorare la situazione. Mi sembra che qui si torni a prima della Basaglia, invece che superarla.

8 commenti:

  1. Sono d'accordo con te se il TSO si riferisce al trattamento psichiatrico. Leggendo la proposta mi sembra di capire, però, che si riferisca a un trattamento di nutrizione forzata, tipo endovena, in caso di acuzie e di rischio grave di morte imminente. Sono indecisa su cosa pensare rispetto a questa seconda ipotesi. Nel mio corso di due anni fa ho inserito un testo scritto nel 1944 dallo psichiatra Ludwig Binswanger su una paziente che aveva avuto in cura venti anni prima. Si intitola "Il caso Ellen West" e racconta di una donna intelligente, colta, sensibile, molto amata dal marito, bella, benestante, eppure vittima di una sorta di richiamo del vuoto. Alternava bulimia e anoressia, si sentiva depressa, pesante anche metaforicamente, insomma, molto infelice. Lo psichiatra a un certo punto la dimise dalla clinica, sapendo che che si sarebbe suicidata e rendendone consapevole, come si scoprirà in seguito, il marito; lo fece per rispetto del desiderio di lei di morire. Ellen passò le sue ultime giornate felice sapendo che si sarebbe data la morte, mangiando abbondantemente ciò che le piaceva, cioè dolci e cioccolatini, e leggendo poesie; sentendosi finalmente libera dall'ossessione del vuoto e del pieno. Più di 70 anni dopo la sua morte si scoprirà che il veleno le era stato procurato dal marito. Binswanger è stato criticato e lui stesso ha provato dubbi e per questo ha aspettato più di venti anni per scrivere di Elle. I miei studenti sono rimasti turbati dal testo, ma soprattutto dal fatto che ho scelto di non proporre una risposta giusta; infatti la risposta giusta non so quale sia. Non so se Binswanger abbia fatto bene o no a lasciarla morire, anche se mi verrebbe d pensare di sì.

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  2. Senza voler fare filosofia spicciola penso che quasi mai ci siano soluzioni "giuste". Ciò che sembra giusto per A spesso non lo è per B. Ciò che sembra giusto per A al tempo T₀, poi magari non lo è più al tempo T₁. Io trovo giusto ciò che afferma il secondo comma dell'articolo 32 della nostra Costituzione:

    Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

    Obbligare alla quarantena una persona infetta da Ebola, con lo scopo di salvaguardare la salute pubblica è una cosa. Impedire a tutti i costi ad una persona, conscia di quello che fa, di por fine alla propria vita è tutt'altra cosa. So che qui si sconfina nei labili confini che ci sono tra il diritto al suicidio, l'eutanasia, l'accanimento terapeutico, ... La vita è un diritto del singolo individuo. Così come l'amore. Non sopporto legislazioni che vietino al singolo individuo di fare ciò che vuole della propria vita e dei propri amori se tutto ciò non lede i diritti degli altri.

    Ritornando comunque al caso di Ellen West è famoso l'articolo che su di lei scrisse Pietro Citati sulla Repubblica e il modo con cui reagirono a questo articolo gli psichiatri italiani:

    «Gentile Augias, a scriverle sono due psichiatri che, come molti altri colleghi, si trovano a confrontarsi quotidianamente con le tendenze autodistruttive dei propri pazienti e sa quanto questa lotta contro la morte sia dura e difficile.
    Siamo perciò rimasti allibiti giovedì scorso nel leggere l’articolo “Il male oscuro” con cui Pietro Citati elogia lo psichiatra svizzero L. Binswanger (1881-1966) descrivendone l’operato nel caso clinico di Ellen West che nel 1921 concluse la sua vita di grave malata avvelenandosi a 34 anni. Conclude Citati «Possiamo dire che Ellen West fu sopraffatta dal veleno della morte? Non è certo: la morte, anche la morte volontaria, può essere un compimento, una liberazione, una pienezza». È un atto di civiltà riconoscere il diritto all’autodeterminazione delle persone che hanno una malattia terminale del corpo ma è anche importante ribadire che l’enfatizzazione estetizzante della morte “liberatrice” in psichiatria è un falso ideologico. Come ogni psichiatra sa, il suicidio del paziente psichiatrico è un duplice fallimento: quello senza riscatto del malato e quello del curante che non è riuscito ad opporsi alla violenza dell’altro.
    Invece Binswanger, prendendo le mosse dal heideggeriano “essere per la morte”, espose nel 1944 il suicidio della West come estremo tentativo di realizzazione esistenziale, proprio per giustificarne l’esito infausto (e forse elaborando così il suicidio del proprio figlio maggiore avvenuto nel 1929).
    Citati scrive anche «La sera, senza che nulla lasciasse prevedere la sua decisione, (…) prese una dose mortale di veleno». Questo è un falso storico, smentito dallo storico Albrecht Hirschmüller in un suo saggio del 2002 “Ellen West: tre tentativi di cura e il loro fallimento”, pubblicato in Italia da Il sogno della farfalla (1-2005), che dimostra la connivenza del marito e di Binswanger nell’istigare Ellen al suicidio, lo psichiatra dimettendo la paziente dopo averne decretato l’incurabilità, e il marito quattro giorni dopo assistendo personalmente alla somministrazione del veleno e al di lei «reclinarsi con una espressione di infinita felicità».
    Nell’articolo Citati rileva un «istinto di negazione» in Ellen West, interessante concetto! Ma l’affermazione va corretta: qui il suicidio di una donna era preceduto dalla «pulsione di annullamento» del suo uomo e del suo psichiatra.» (Annelore Homberg, Giovanni Del Missier).

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  3. Sono tendenzialmente d'accordo con te (e con Binswanger) anche se lascio aperto un piccolo spiraglio al dubbio. Non sono invece molto d'accordo con la teoria dell'istigazione di Ellen West al suicidio, forse perché ho amato molto Binswanger e studiato diversi altri suoi scritti. Il suicidio è il più incrollabile dei tabù e si ha paura di pensare che possa essere anche una scelta consapevole. Mi viene in mente, a proposito del suicidio come scelta consapevole di una persona, in questo caso, sana fisicamente e psichicamente, un bel film del 2013. Nella vicenda narrata il suicidio di uno dei personaggi non è l'elemento centrale, ma è quello più intenso e che dà pathos al film. E' "De reditu", invisibile nei circuiti e introvabile. http://it.wikipedia.org/wiki/De_reditu_-_Il_ritorno

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  4. Mi permetto di spendere due parole sull'argomento legge Basaglia, più che sul TSO e i casi in cui si dovrebbe applicarlo.
    La legge Basaglia ha fatto il meglio per i malati psichiatrici, ma cosa ha stabilto per i famigliari di questi malati? Sappiamo benissimo che spesso sono soli e inadeguati di fronte alla malattia psichiatrica. Certo che il TSO non è la risposta giusta. Molte cooperative intervengono in aiuto, comunque il problema è apertissimo.

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  5. Le figlie di due mie care amiche ammalate di anoressia. La prima è (sembra guarita), ha due bellissimi figli. Ragazza intelligentissima rifiutò ogni cura intraprendendo un vera guerra con famiglia e specialisti, Decisero di rispettare le sue opinioni fino allo sfinimento, aveva 17 anni e gli avevano dato una settimana di vita, non aveva più la forza di reagire, la madre disperata la ricoverò e le fece prestare tutte le cure del caso, la salvarono per miracolo, successivamente guardando i suoi figli ringraziò chi gli aveva dato la possibilità di tornare da quel suo viaggio, come lei stessa definisce, da un bosco fitto e buio. Ora ama e vive. La seconda ragazza è ammalata in questo momento, bravissima a scuola, scrive lettere profonde, sensibilissima..ma..raggira tutti in continuazione, si graffia ovunque, gola, braccia e altro, non vuole cure. Che sia da rispettare la sua volontà? Allora penso a mia figlia, 17 anni,certo che la curerei, eccome, volontà sua o meno. Mi dispiace, sembro dura, contro la libertà di vivere o morire,sembro tante cose, ma queste ragazze vorrei inseguirle nel loro viaggio lontano da se stesse e riportarle a casa.

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    1. Ho conosciuto in tempi diversi due casi in cui le figlie non ce l'hanno fatta e sono stata testimone di situazioni a esito diverso. Faccio parte di un'associazione fondata due anni fa, a Pisa, attorno alle problematiche di questi disturbi e credo che bisogna agire prima che le condizioni diventino gravi, con un approccio multidisciplinare, anche attraverso i gruppi di mutuo-aiuto e con una terapia di supporto che coinvolga tutto il nucleo familiare. Nel caso di una ragazza anoressica in pericolo di vita sono certamente per l'alimentazione forzata perché oltretutto, arrivate a un certo stadio, queste ragazze non sono più in grado di tornare indietro anche volendo. Forse ho sbagliato a introdurre Ellen West in questa discussione, perché intanto si tratta di una donna adulta e poi perché il suo è un caso complesso, non di anoressia classica della ragazza. E' stata un'associazione di idee con una vicenda a me cara che si interseca, ma non si sovrappone all'anoressia nervosa delle ragazze; una patologia che inizia sempre prima (spesso, ormai, nella pre-adolescenza) e che ha al suo centro una dispercezione del proprio corpo e un desiderio estremo di perfezione che lo riguarda, ma che coinvolge anche l'apprendimento. L'essere bravissime a scuola è tipico.

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    2. Antonella, come sempre hai espresso benissimo e molto chiaramente quello che avrei voluto dire io raccontando un vissuto molto complesso.
      Ho notato che le mamme spesso si chiudono in un guscio non accettando, inconsciamente, una realtà troppo dolorosa. Ho notato che come tu spieghi, avrebbero veramente bisogno di un grandissimo aiuto. Purtroppo le strutture sanitarie o sociali lasciano molto a desiderare, su questo ne avete parlato ampiamente.Questo succede anche per le donne in difficoltà, vittime di uomini violenti. Purtroppo i problemi e le difficoltà psichiatriche sono realtà ancora in uno stato pietoso, sia sotto il profilo assistenziale che giuridico.

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    3. E' così soprattutto perché si cercano soluzioni rapide, miracolose e indolori. Purtroppo , se ci vuole tanto perché si instauri un problema, ci vuole anche tanto perché si elaborino le cause e se ne possa uscire. Bisognerebbe agire prima che si instauri una malattia. Invece, nel caso per esempio della ragazzina anoressica, finché non si ammala i genitori sono felici del suo perfezionismo esasperato che la fa essere impeccabile e bravissima a scuola, obbedientissima a casa. Non si chiedono se è felice, se va bene tanta diligenza o se c'è una fragilità, un rischio. Ci si preoccupa solo quando vanno male o combinano qualcosa, ma bisognerebbe preoccuparci anche quando vanno troppo bene e non disobbediscono mai, non dicono mai una bugia, non fanno mai un capriccio. Ma poiché ci fa comodo preferiamo non vedere.

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